Non si può parlare di sport senza parlare di Paralimpiadi, come non si può parlare di PoT senza affrontare il tema dell’inclusione e della diversità di sfumatura.
Manifestazione sportiva internazionale iniziata da poche ore a Tokyo, queste Paralimpiadi promettono già un buon risultato sportivo, coinvolgendo 4.537 atleti in rappresentanza di 163 Nazioni e assegnando 540 medaglie in 22 discipline sportive.
Abbiamo deciso di iniziare così la nostra rubrica sportiva sul blog aziendale di PoT, attraverso il racconto di un evento internazionale che vede la diversità come ingrediente di un mondo che solitamente, ambisce alla perfezione: di risultato, di obiettivo, di formazione, e che nell’immaginario ha poco a che fare con le disabilità.
Attraverso lo sport, invece, pensiamo che si possa instaurare un linguaggio universale che riesca finalmente ad abbattere stupidi stereotipi che portano ad eroizzare, ad esempio, un atleta per ciò che gli manca e non per i risultati sportivi che conquista. Al momento, abbiamo ammirato solo la cerimonia di apertura, nel suo aspetto più scenografico in cui i giapponesi sono maestri d’arte, ma già traspaiono molti elementi anche di comunicazione non verbale che possono farci capire come saranno recepite le Paralimpiadi dall’intero pubblico: un po’ di radicato abilismo mischiato a notizie sportive, forse troppo tecniche per colpire l’utente medio.
Ancora tanto c’è da fare, ad esempio, in ambito di comunicazione diversity & inclusion, nel tramite del racconto, della scelta dei giornalisti migliori, che oltre alla professionalità o all’esperienza, sappiano essere veicoli di una divulgazione più consona sul tema della disabilità, partendo dal considerare un atleta come qualunque altro professionista sportivo e non come un esempio a parte. Oppure che sappiano presentarli con un nome, un cognome, un risultato in una gara e non come un ingrediente mancante per far reggere la persona, nominando prima la tipologia di disabilità, come fosse un’etichetta di riconoscimento. Abbiamo assistito ad una lunga sfilata che ha toccato ogni parte del mondo, colorata da bandiere e divise, con qualche patologia dichiarata troppo in fretta che tanto ha fatto sospirare il pubblico sul termometro della pietà.
Cosa dovremmo recepire, invece, dalle Paralimpiadi? Il bisogno di non essere considerati atleti di 2ª categoria, di meritare una comunicazione che faccia leva sullo sport e che il resto sia solo pura scenografia, non da nascondere, ma solo di riempimento per la notizia, di non dover dimostrare di essere eroi, ma solo persone che perseguono professionalmente una passione come chiunque altro, con regole differenti ma ugualmente riconosciute.
Ciò che ci piacerebbe è partecipare ad un percorso di omologazione di queste manifestazioni che possano raccogliere sotto un unico cielo l’intero evento sportivo: non più Olimpiadi e Paralimpiadi, ma una sola manifestazione nel rispetto dello sport e degli atleti. È in questo modo che lo sport può contribuire realmente a divenire merce di scambio per una nuova consapevolezza sul concetto di squadra e appartenenza.
Abbiamo tempo fino al 5 settembre per fare il tifo, per cambiare la nostra visuale su questa manifestazione se ancora non abbiamo colto la potenzialità di riuscire a cambiare prospettiva sul binomio sport e disabilità.
Valentina Tomirotti