Virginia De Carlo E Il Suo Talento Nella Danza
Il mio corpo è affetto da una forma di tetraparesi spastica che mi avrebbe dovuta condannare a una vita a metà. Invece danzo, cammino sulla sabbia rovente della battigia, vinco gare e competizioni, passeggio con le amiche, amo e lotto, cado, e mi rialzo.
Sono una ballerina con la passione per il ritmo che mi accende il cuore, e da quel muscolo involontario parte l’energia, che muove il mio corpo che per molti non dovrei osare tanto.
In una vita in cui la maggior parte degli osservatori potrebbero a fatica trovare gratitudine, vi sorprenderò con la gioia di saper trovare le parole giuste per esprimere quanto ciascuna delle persone che ho incontrato abbiano significato per me.
Anche quando gli altri sono stati ostili, non nascondo al lettore la rabbia, il dolore e l’amarezza ma, ancora una volta, vi sorprenderò con la mia gratitudine verso quelle svolte che nella vita paiono muri in ombra e invece sono angoli, dietro cui si apre una giornata di sole.
Virginia De Carlo
The Aha Moments And My Playlist
In inglese “aha moments” indica il momento in cui nasce l’idea creativa. In questo ultimo evento di We Hate Pink abbiamo provato a capire come questi momenti di creatività possano essere influenzati dalla musica.
Non tutti noi siamo amanti della musica ma la musica gioca un ruolo importante nella vita di molte persone. Ognuno di noi ha il proprio modo di connettersi con la musica che ha una connessione diretta con le nostre esperienze personali. Ascoltando una playlist, la tua mente finisce lontano da dove hai iniziato ma non è sempre detto che sia di aiuto alla creatività.
Nei primi anni ’90 si parlava dell’effetto Mozart, il primo studio che collegava la musica classica all’aumento della cognizione spaziale. Nel 2017, alcuni ricercatori hanno scoperto gli effetti che diversi tipi di musica hanno sulla creatività. Sulla base dello studio dell’Organizzazione olandese per la ricerca scientifica (NWO), la capacità cognitiva di un individuo ha due segmenti, il pensiero divergente e il pensiero convergente, in cui uno è più dominante dell’altro. Lo studio conclude che l’ascolto di musica allegra aumenta la capacità di essere creativi dei pensatori divergenti. Ciò ha dimostrato che la musica “felice” aumenta la creatività. In particolare, aumenta la capacità di aumentare le idee. Durante il talk abbiamo esplorato come usare la musica per far fluire le idee e stimolare la creatività. Ma abbiamo scoperto che non per tutti, la musica allegra ha necessariamente un effetto creativo. La creatività di una persona è potenziata dalla musica allegra, quella di un’altra da musica più lenta o più pesante. In un recente sondaggio si è addirittura rilevato che alcuni preferiscono i podcast. Ogni creativo è ispirato in modo diverso da una così vasta gamma di stimoli che sembra difficile classificarli. Per Ryan Battles, Dj, esperto di branding e marketing e autore, l’elemento che più di tutti stimola la sua creatività è andare oltre la musica, scoprire la storia dietro l’artista e cosa ha utilizzato come fonte di ispirazione. La creatività non è un processo lineare, infatti per Federica Attanasio, Co-Founder and Direttrice creativa di We Are Effe, sono i testi a stimolare la sua creatività, andando oltre la musica.
Nel corso della serata abbiamo anche analizzato il ruolo delle donne nel settore musicale, in particolare nel contesto britannico. Secondo il report ‘Seat at the table’ la percentuale di donne nei board delle aziende musicali è aumentata negli ultimi due anni. Nel 2020, solo il 9% dei CEO delle undici più grandi aziende musicali erano donne. A partire dal 2021 la percentuale è aumentata e oggi siamo al 27%. Non possiamo però dire lo stesso per le artiste. Infatti, la maggior parte delle line up dei festival britannici sono ancora fortemente dominate dagli uomini, la domanda che infatti abbiamo posto ai relatori è come possiamo raggiungere gli stessi progressi per le artiste. Secondo Tom Chichester, compositore e Founder della etichetta discografica Elsham Music che lavora molto con il settore pubblicitario, la tecnologia ha riportato la musica nelle mani delle artiste e delle autrici musicali. Federica Attanasio ha ribadito l’importanza di creare e mantenere delle partnership tra artisti e march, senza escludere l’opportunità offerta dai social media nel puntare i riflettori sugli artisti emergenti. Secondo Ryan Battles i social sono fantastici nel creare opportunità di carriera e far scoprire le artiste emergenti ma possono anche esercitare molta pressione, costringendole a conformarsi ai trend del momento.
Abbiamo poi concluso la conversazione introducendo il progetto Safe Spaces Now, lanciato da UN Women UK, volto ad eliminare le molestie e la violenza negli spazi pubblici (festival e concerti) e nel settore musicale. La ricerca condotta da UN Women UK rivela che nel Regno Unito più del 70%, delle donne e persone non binarie, ha subito molestie sessuali in luoghi pubblici. Il 40% delle donne sotto i 40 anni ha subito molestie o è stata vittima di violenza nel corso di un evento di musica dal vivo. All’interno del settore musicale, oltre il 60% delle professioniste del settore ha subito molestie sessuali. Il progetto sta sensibilizzando il governo britannico ad intervenire all’interno di spazi pubblici. Nel frattempo, con “Safe Spaces Now’ stiamo lavorando alla creazione di spazi sicuri nel corso degli eventi musicali a cui le donne e le persone non binarie possono rivolgersi in caso di pericolo. Quest’estate UN Women UK ha partecipato a numerosi festival su tutto il territorio britannico e sta coinvolgendo moltissimi artisti che hanno firmato la petizione e si stanno impegnando personalmente sull’argomento.
Rossella Forlè
We Hate Pink è una community femminista nata a Londra da Rossella Forlè. La piattaforma ha come obiettivo quello di affrontare temi e argomenti legati alla discriminazione di genere nella vita quotidiana e sul lavoro. Organizza eventi, webinar, workshop e ha una Zine su cui vengono pubblicati articoli settimanali. La piattaforma si occupa di attivismo partecipando ad azioni dirette online ed offline. Per partecipare ai nostri eventi e far parte della community seguici @wehatepink e @wehatepinkitalia.
Passione, determinazione e... un caleidoscopio di emozioni!!
Qualcosa di innato e inspiegabile a parole, che sentiamo crescere dentro di noi senza riuscire a contenere, perchè ignorarlo, sarebbe come snaturare noi stessi.
E’ vero che spesso seguire strade prevedibili, allinearsi a ciò che è comune rappresenta il percorso più semplice ma… se questo significa limitare il nostro essere invece di assecondare il nostro istinto, allora preferisco di gran lunga rischiare, magari cadere, ma con la consapevolezza di averci provato, di aver creduto nel dono che mi è stato fatto: un bisogno di esprimere, di creare, modificare, renderendo ogni cosa emozionante ed universale…questa per me è l’arte in tutte le sue sfaccettature, la ricerca della bellezza… un’ armonia che vive su un equilibrio necessariamente instabile.
Terminato il percorso di formazione come make up artist in cui ho potuto imparare le tecniche di realizzazione per tutte le tipologie di trucco: dal classico trucco sposa, al make up teatrale passando dagli effetti speciali fino al body painting, ho partecipando ad alcune gare di trucco, tra cui il campionato nazionale di body painting di Merano nel 2017 in cui ho conquistato il terzo posto nella categoria esordienti; nello stesso anno, ho vinto il primo premio per il trucco fashion durante la gara ad Albisola Marina.
Nel 2018 ho gareggiato al campionato italiano dei corpi dipinti di Garda, ed ho partecipato alla trasmissione ‘’Detto Fatto’’ in onda su Rai 2 con la realizzazione di un body painting.
Sono stati due anni ricchi di nuove esperienze, amicizie e grandi emozioni che fino a poco tempo prima non avrei mai creduto di poter vivere… è stata la conferma del fatto che nonostante le difficoltà e le incertezze soprattutto iniziali, credere nei propri obbiettivi e lavorare con passione per raggiungerli ripaga di ogni sforzo, regalando momenti indimenticabili.
Gli ultimi due anni hanno messo alla prova tutti noi e personalmente, come tanti altri colleghi e artisti, mi sono ritrovata di fronte all’impossibilità di creare, di emozionare ed emozionarmi condividendo momenti speciali che si creano lavorando con passione in compagnia di altri artisti, modelle, del pubblico e di tutte le persone che si affidano a me e ai miei colori…
Oltre all’aspetto più creativo e fantasioso che amo del mio lavoro, sono da sempre convinta che non si tratti soltanto di estetica e stile, ma che coinvolga soprattutto un aspetto emotivo ed emozionale molto importante. Per questo, ciò che più mi è mancato durante il periodo di stop che siamo stati costretti a vivere, è il rapporto umano che si instaura con le persone durante il trucco: amo valorizzare la bellezza, ma ci tengo soprattutto a sottolineare la loro personalità, il loro carattere attraverso il look, rendendole così ancora più uniche e sicure di sè, anche facendole riscoprire una bellezza nuova.
Durante la pandemia, per rendere comunque produttivo questo periodo difficile, ho approfittato del tanto tempo a disposizione per dedicarmi a corsi di aggiornamento e approfondimento, ampliando così le mie conoscenze a 360° su tutti gli aspetti riguardanti l’arte del trucco.
Ho intrapreso un percorso di specializzazione qualificandomi come Truccatrice dello Spettacolo, visto che un mio sogno sarebbe lavorare per il mondo dello spettacolo spaziando tra show, teatro e cinema; inoltre ho seguito una specializzazione sul trucco oncologico, per aiutare attraverso il trucco chi nonostante stia vivendo un periodo difficile, non deve smettere di amarsi e prendersi cura della propria bellezza!!
Per unire il mio lavoro di truccatrice alla mia passione per la moda, ho deciso di diplomarmi come Consulente di immagine e Armocromia, al fine di dedicarmi a tuttotondo nel valorizzare la bellezza delle persone, aiutandole ad esprimere la loro personalità ed unicità non solo attraverso il make up, ma anche attraverso il loro abbigliamento.
Sono sempre alla ricerca di nuovi spunti creativi e nuove occasioni di crescita, sono dell’idea che si possa sempre migliorare e non bisogna mai smettere di acquisire nuove competenze, la creatività ha bisogno di nuovi stimoli e spaziare in diversi settori ci permette di arricchire il nostro bagaglio personale.
Sarah Camerlo
La storia di Adele, modella albina
Adele è nata in un caldo giorno d’autunno,
lasciando a bocca aperta tutti Coloro che si trovavano intorno a se’, soprattutto me, che continuavo ad aprire e chiudere gli occhi per rendermi conto se fosse vero ciò che stavo guardando. Lei era lì, davanti a me, in tutto quell’incredibile candore.
Mi scoppiavano in cuore troppe sensazioni tutte insieme, emozione, felicità, incredulità …
Ebbi subito la percezione che lei fosse albina, ma ho subito accantonato quel pensiero avevo bisogno di continuare a gioire perché lei finalmente era arrivata .
Volevo e dovevo godermi quell’attimo, così tanto desiderato e atteso.
E allora quel pensiero è rimasto lì fino al giorno dopo quando ebbi la conferma.
Se chiudo gli occhi e ripenso a quell’istante rivedo un piccolo pulcino disperato e urlante che smetteva solo al contatto con le mie labbra sulle sue , così morbide e dolcemente calde.
Era avvolta in un lenzuolino tutto bianco, con questi sottilissimi peli che spuntavano da sopra la sua testolina, bianchi, talmente bianchi che continuavo ad osservarli come se dovessi convincermi che erano veri, il mio sguardo cercavano le sue sopracciglia che sembravano quasi inesistenti da quanto fossero chiare.
Attimi, pochi secondi ma che ricordo quasi come interminabili… Ricordo bene le voci di stupore dei dottori che ancor prima di farmela vedere urlavano entusiasti: “Non ha capelli! Non ha capelli!”. Come se fosse qualcosa di incredibilmente strano, ma i capelli c’erano, semplicemente non si vedevano .
Adele, ha 7 anni, è mia figlia ed è albina.
Per tutto il suo primo anno non riuscivo nemmeno a dirlo, come se aver avuto una bimba con una patologia rara mi facesse sentire inadeguata agli occhi del mondo.
O forse era proprio così che mi sentivo, per tutte le domande e gli sguardi curiosi ricevuti da quando lei è venuta al mondo.
L’albinismo e’ una patologia rara. Comporta mancanza di melanina in pelle, capelli, peli ed occhi, con conseguente riduzione delle capacità visive e difetti di retina. La maggior parte degli albini hanno pelle, peli e capelli bianchi o molto chiari, tanto da farli apparire eterei e candidi , e occhi che tendono al rosso, a volte anche al viola.
Spesso dico ad Adele che esisteva una bellissima e bravissima attrice che aveva gli occhi viola, anche se non era albina.
Molte persone non sanno nemmeno che ci sono addirittura varie forme di albinismo. La maggior parte pensa sia esclusivamente una questione di pelle chiara, che basta spalmare un po’ di crema protettiva ed è fatta! O che addirittura non si debba mai stare al sole se non con maniche lunghe.
Ma non è proprio così! Certo, è sempre necessaria e vitale una costante e adeguata protezione solare per evitare le scottature che provocherebbero seri danni, e occhiali scuri per proteggere gli occhi dai raggi solari, ma con queste accortezze Adele può stare al sole senza indossare necessariamente maniche lunghe anche ad agosto.
Nemmeno io sapevo esattamente di cosa si trattasse, avevo visto , forse, un documentario nel corso della mia vita, che raccontava di terre lontane, bambini africani albini, con pelle e capelli bianchi e grandi macchie marroni causate dalle gravi ustioni, bambini martoriati dal sole, ghettizzati e isolati per la loro condizione, a cui venivano inflitte atroci torture solo per stupide superstizioni o false credenze.
Ed è incredibile che ancora oggi in molti Paesi succede ciò.
Da qui è nata, qualche tempo dopo, la consapevolezza di quanto sia esclusivamente questione di fortuna. Nascere nella parte del mondo giusta, ma soprattutto in una famiglia amorevole in grado di accogliere e accompagnare un bimbo con disabilità verso la strada per il suo futuro a soprattutto riuscire a fornirgli gli strumenti per poter affrontare il suo pezzo di vita.
I primi istanti, dopo la sua nascita sono stati per me estremamente duri.
Perché come tanti ho creduto nello stereotipo, ho creduto ad una perfezione che non esiste nel reale. Ho creduto a tutto ciò che con una superficialità disarmante veniva raccontato e prospettato sui siti di informazione.
I primi momenti erano un susseguirsi di visite ed esami , subito mi sono messa in moto per capire , scoprire , pensavo di trovare addirittura una medicina, qualsiasi cosa, potesse aiutarla ad integrare questa melanina che non c’era .
Ed ogni mio momento era dedicato alla ricerca.
Ricordo momenti di rabbia, sconforto, dove non uscivo di casa per evitare quegli sguardi e quelle domande spesso sciocche, le umiliazioni a dover dare una spiegazione su quei colori poco comuni, quando io volevo solo fare una passeggiata con la mia bimba .
Ricordo la prima volta che ho digitato la parola “albinismo” in internet e mi sono ritrovata a dover leggere parole come, ipovisione, cecità, strabismo, nistasmo e molto altro o vedere immagini a volte anche inquietanti, bimbi o persone rappresentati con facce tristi, occhi con riflessi rossi, o bimbi africani che per mancanza di creme solari e occhiali scuri avevano avuto conseguenze tragiche, che anche nella letteratura e al cinema persone con albinismo avevano sempre rappresentato personaggi con una connotazione negativa.
Ero angosciata nel pensare che Adele potesse, un giorno, vedere quelle immagini e provare inquietudine o tristezza o magari paura per Le caratteristiche con cui era nata .
Ma la cosa che mi spaventava di più era il pensiero che mia figlia potesse essere cieca, che potesse crescere in un mondo dove veniva derisa o discriminata.
Continuavo a chiedermi se avrebbe mai avuto una vita normale, se fosse stata autonoma, se qualcuno l’ avrebbe preso in giro o derisa per il suo aspetto, se avrebbe avuto difficoltà a scuola o nella relazione con gli amici, se ce l’avrebbe fatta ad affrontare la vita da sola un giorno, senza di me e se potesse crescere serena e felice anche con i limiti che la natura le aveva donato …
Ma Adele era ed è , il mio bene più’ grande e avrei fatto di tutto per proteggerla!
Ho capito che tutto quel dolore, quella rabbia non portava a nulla di buono per noi , e soprattutto per la mia bambina.
Così ho smesso di cercare informazioni da dottori o siti che non raccontavano nulla che potessero aiutarci,
Ho iniziato così a contattare ragazze albine adolescenti, mi sono fatta spiegare i loro percorsi di crescita, e famiglie che avevano vissuto prima di me questa esperienza; ho ascoltato le loro sensazioni, consigli, ascoltato storie di vita concrete e reali fatte di qualche difficoltà, ma anche di tanta normalità e felicità.
Ho così iniziato a guardare davvero Adele, per quello che era e non per come veniva rappresentata sui siti attraverso la sua condizione genetica, per la prima volta ho davvero iniziato a guardare mia figlia, a concentrarmi su di lei, a conoscerla davvero. Ed ho visto quanta meraviglia, bellezza, e forza sprigionava, ammiro il suo spirito forte e combattivo, il suo essere fiera e consapevole allo stesso tempo .
L’ albinismo crea sicuramente dei limiti, ma questi limiti possono essere accettati e anche superati con tanta forza di volontà e positività .
Mentre io assimilavo il tutto, Adele nel frattempo cresceva forte e determinata, sempre pronta a mettersi in gioco in tutto ciò che le piace cercando sempre degli strumenti che l’aiutino a trasformare i suoi punti deboli in punti di forza.
Spesso la osservo, mi fermo a guardarla incantata per la naturalezza con cui affronta le sfide più difficili che la natura le pone davanti .
Grazie ad Adele è cambiato il mio approccio verso il mondo e la vita, è sparita in me la rabbia iniziale, il mio senso di inadeguatezza, il fastidio che provavo nell’ essere osservata, alle domande delle persone o agli sguardi incuriositi rispondo con un gran sorriso stampato sulla bocca e se qualcuno tacitamente si domanda se lei sia albina io rispondo con tutto l’orgoglio che ho in petto: “ Si, Adele è albina”.
Con i servizi fotografici è cominciato tutto per caso , in un momento delicatissimo della nostra vita.
Un giorno questa splendida fotografa, Valeria Lobbia, ha visto Adele, da tempo cercava una bimba con le sue caratteristiche e come se avesse sentito il mio bisogno di essere trovata ci ha contattate. Mi ha trovata in un gruppo fb privato in cui stavo scrivendo una dedica per la mia Adele e stavo incoraggiando le altre mamme raccontando la mia esperienza.
Adele aveva quasi 5 anni.
Siamo arrivate in questo studio per una semplice esperienza, un nostro piccolo regalo, cosi per gioco e curiosità, una piccola ricompensa tutta per noi .
Adele era lì , meravigliosa, sicura, fiera, e con il cuore in gola sono rimasta ad osservare la sua compostezza e incredibile naturalezza davanti l’obiettivo …
Ho sentito subito qualcosa di magico sprigionarsi in quella stanza, in cui ci siamo tornate altre volte ancora, alcune di queste foto hanno in seguito ricevuto addirittura dei premi internazionali!
Trovo così incredibile con quanta naturalezza lei guardi e si compiaccia in modo assolutamente naturale e composto dei risultati ottenuti, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Adele ha iniziato così a fare dei servizi fotografici, è felice quando viene chiamata.
Davanti l’obiettivo è come se si sentisse totalmente se’ stessa, fiera, orgogliosa. Come se entrasse in un mondo magico e speciale dove attraverso il suo sguardo profondo e intenso lei riuscisse a raccontarsi e donare agli altri un pezzo di se’.
Probabilmente, se quando lei è venuta al mondo io avessi visto delle foto come quelle di Adele, avrei sicuramente accolto quella diagnosi in modo totalmente diverso. Ora sono tanto fiera e orgogliosa quando alcune mamme mi contattano perché vedono Adele in qualche servizio e accolgono i loro bimbi nella positività. Sono felice quando mi scrivono mamme i cui bimbi, magari intimiditi dalla loro condizione, si sentono poi orgogliosi e incoraggiati guardando Adele.
Penso a quanto fortuna abbiano ora con i social dove tutto è più immediato e diretto trovare facilmente delle informazioni o esperienze di vita vera …
So per certo però, che Adele saprà capire le mie lacrime , comprenderà che la mia disperazione iniziale era semplicemente paura di ciò che non conoscevo e mi faceva paura, era semplicemente il mio amarla incondizionatamente sopra ogni cosa, era il voler darle un porto sicuro da cui partire, per acquisire poi, gli strumenti per poter navigare da sola durante il viaggio della sua vita, ma consapevole che nella sua famiglia troverà sempre l’appoggio e tutto l’amore di cui lei avrà bisogno.
Perché lei lo sa, che insieme ai fratelli, è il nostro bene più prezioso .
Antonella (mamma Adele)
Tra ombre e colori
Qual’è la linea sottile che divide il possibile dall’impossibile? Da chi, e da che cosa, ci viene imposto un’ ideale di ‘’normalità’’? Ciò che deve o non deve essere, ciò che è possibile fare o non fare, secondo limiti prefissati da altri e dalla società.
Credo che queste risposte siano dentro ognuno di noi, e abbiano solo il bisogno di essere ascoltate e sperimentate.
Sono Sarah Camerlo, ho 25 anni e vivo a Castellamonte in provincia di Torino, dove lavoro come Make up Artist, Body Painter e consulente di immagine. Mi ritengo una persona ambiziosa, creativa, emotiva, caratterizzata da un mix di fragilità e determinazione… insomma, un cocktail di cui potrete scoprire meglio gli ingredienti duarnte i prossimi articoli!!
Sin da bambina sono sempre stata appassionata di arte, moda, pittura, fotografia, trucco e tutto ciò che mi permettesse di esprimere la creatività.
Ero una bimba dalla spiccata sensibilità, piuttosto timida e per questo, amavo rifugiarmi nel mio mondo colorato e fantasioso passando le giornate a disegnare, dando forma alla mia immaginazione e sognando di essere una stilista.
Durante i miei primi anni di vita però, la realtà ha preso il sopravvento facendo scendere l’ombra sui miei sogni colorati e sulla vita della mia famiglia.
All’età di circa 2 anni e mezzo mi è stata diagnosticata l’ Atrofia Muscolare Spinale (SMA), una malattia neurodegenerativa che all’epoca era ancora poco conoscuita e che colpisce spesso durante l’infanzia, causando progressiva perdita di massa muscolare e di forza, mentre negli stadi più avanzati della malattia si manifestano anche problematiche respiratorie gravi.
All’età di 6 anni sono salita sulla carrozzina elettronica che per me ha rappresentato subito uno strumento di autonomia e libertà, dal momento in cui ormai ogni movimento per me iniziava a rappresentare un grande sforzo fisico.
Sono stati anni di visite, paure e incertezze, difficoltà fisiche e soprattutto emotive per la mia famiglia… insomma, i percorsi facili non hanno mai fatto al caso mio, ma la voglia di trasformare in luce e colore tutto ciò che oscurava il nostro presente non è mai mancata!!
Il mio sogno di diventare stilista ha dovuto rimanere nel cassetto in quanto avrei avuto troppe difficoltà nel cucire e creare cartamodelli vista la mia manualità un pò limitata, così mi sono diplomata in Grafica al liceo artistico.
Terminato il liceo, nel 2017 ho intrapreso il mio percorso di studi professionali in accademia di trucco a Torino.
Sono subito stata decisa sul fatto che il mondo del make up rappresentasse a pieno ciò che sogno di fare nella mia vita, unisce la mia passione per la moda, per il cosplay, per il disegno attraverso il body painting, ed è un campo vasto e molto creativo che mi da la possibilità di esprimermi spaziando in svariati settori, e lavorando a contatto con il pubblico.
Inizialmente avevo molta paura sul fatto che essendo limitata nei movimenti anche questo mio sogno si sarebbe trasformato in un tentativo fallimentare, ero consapevole che ci fosse la possibilità di non riuscire a portare al termine questo percorso, ma ho deciso con determinazione di provare senza arrendermi di fronte alle difficoltà che avrei potuto incontrare, per poter realizzare i miei obbiettivi. Fu un anno impegnativo ma pieno di soddisfazioni personali, un’ esperienza che rimarrà una delle più belle in assoluto dalla quale oltre ad essermi formata professionalmente, ho imparato molto sull’importanza di credere in noi stessi, nei nostri sogni e nelle nostre capacità.
Sono sicura che ci siano delle energie inspiegabili che ci spingono a scegliere determinate strade nella nostra vita, stà a noi ascoltarle, dare voce alle nostre sensazioni e a volte, quando esse sono particolarmente forti, fidarci e affidarci ad esse: forse, ci stanno accompagnando nel diventare ciò che davvero sentiamo di essere!!
Sarah Camerlo
"CONTENT CREATION ED INFLUENCER MARKETING"
La creatività è un elemento fondamentale del web marketing e della comunicazione digitale in generale: sono infatti i creativi che da sempre si occupano di realizzare campagne pubblicitarie sempre più coinvolgenti. Con l’affermarsi dei social media la creatività continua ad avere un ruolo di primo piano, anzi, si potrebbe dire che oggi è più importante che mai.
In questo articolo, quindi, ho deciso di trattare il tema dei content creators, ed in particolare degli influencers.
Quando parliamo di web marketing parliamo di “un insieme di strumenti applicati ad una strategia per far crescere gli obiettivi di business di un’azienda, primo fra tutti la vendita dei propri prodotti e/o servizi. Tramite il web marketing, infatti, è possibile individuare su quali canali investire tempo e risorse, capire quali sono le campagne di comunicazione da intraprendere per trasformare i propri utenti in clienti fidelizzati, e tanto altro ancora. È difficile fornire una definizione univoca di cosa è il web marketing, ma è certo che aziende e professionisti non possano trascurarlo, perché Internet è entrato a pieno nelle nostre vite, prepotentemente. È chiaro che i social network hanno giocato un ruolo fondamentale in questo cambiamento complesso e considerevole”[1].
Il web, anno dopo anno, diventa un terreno sempre più interattivo composto da nuove piattaforme e nuove tipologie di contenuti. E nel web sono i social media a rappresentare sempre di più il terreno fertile su cui muoversi, sia per costruire il proprio personal brand sia per pubblicare contenuti che mirano a costruire una community fedele. I social hanno finito, quindi, per dare vita a tanti nuovi lavori, uno di questi è sicuramente la professione del content creator.
Il content creator è la mente creativa dietro ai progetti di comunicazione online che deve studiare, progettare e realizzare dei contenuti idonei ed efficaci da promuovere sul web. Oggi, sul web comunichiamo con diversi contenuti multimediali e con diverse modalità. Tutto dipende dalla piattaforma che utilizziamo: che questa sia Facebook, YouTube, Instagram, Twitch o Tik Tok. Va da sé che, quindi, il content creator deve possedere un mix di soft e hard skills: deve avere ottime capacità di scrittura (in gergo copywriting); saper attingere alla propria creatività in qualsiasi momento; saper mettere a punto un progetto di comunicazione che sia in linea con gli obiettivi del cliente o della propria attività, nonché con il mercato di riferimento, con il target e con le specifiche di ogni singolo contenuto; riuscire ad ideare, definire e creare prodotti multimediali vari tra loro. Il content creator, perciò, deve saper realizzare materialmente i contenuti e non solo pensarli, deve riuscire a coordinare il proprio impegno con quello di editor, webmaster, grafici, videomaker, e con ogni figura che è incaricata alla realizzazione di contenuti multimediali. E’ perciò possibile dire che il content creator è l’artista del web. Che produca video, fotografie oppure scriva blog, la sua principale caratteristica è quella di creare dei contenuti. Inoltre, rappresenta una figura ibrida in grado di copre molteplici ruoli, come quello del social media manager e dell’imprenditore digitale e, a volte, anche quello dell’influencer.
L’influencer “è colui o colei che ha capacità di influenzare con le proprie opinioni elargite sul web e sui social media, le decisioni e i comportamenti della propria community, o, più generalmente, delle persone”[2]. Gli influencer sono persone che, quindi, sono riuscite a diventare influenti in una specifica nicchia di mercato: dal beauty al fashion, dal gaming al travel, dall’arte alla musica e tanto altro ancora.
A differenza del content creator, però, gli influencer sono protagonisti in primo piano della propria comunicazione. Ci mettono la faccia, in tutti i sensi. Ed è proprio questo aspetto umano e intimo che diventa il pregio fondamentale della collaborazione con un influencer.
Questa figura si differenzia, inoltre, da quella del testimonial poiché quest’ultimo si affianca ad un brand o a un prodotto senza per forza condividerne i valori, mentre l’influencer deve essere disposto a veicolare i messaggi di marche in linea con il suo profilo, che promuovono cioè valori che condivide, in modo tale da non tradire la fiducia riposta in lui o lei da parte della sua community di riferimento conquistata e costruita nel tempo attraverso la veicolazione di messaggi e contenuti autentici, coerenti e sinceri.
Gli influencer sono il perno centrale attorno al quale ruota l’influencer marketing. L’influecer marketing è definibile come “l’insieme di quelle campagne atte a creare una relazione tra un brand, un influencer e la sua community di riferimento. [..] L’influencer, in questa dinamica, è il tramite, colui che racconta, che media e trasporta , facendosene carico, in modo autentico e professionale, l’universo valoriale del brand. [..] Il cuore dell’influencer marketiing sta nel costruire una relazione solida tale da garantire la creazione di un reciproco valore”[3]. L’inflencer marketing è, quindi, una delle strategie utilizzate per potenziare la presenza del brand sui social media con lo scopo di fari entrare in contatto e in relazione le aziende con cerchie di persone del loro target. L’’influencer, in cambio di un compenso monetario, prodotti omaggio o altre forme di retribuzione, non offre solo visibilità sui social network a prodotti o servizi in vendita, ma è uno strumento di comunicazione autentica ed umana che passa attraverso il racconto delle storie di vita e la narrazione di contenuti da parte di persone “influenti” sul mercato on line. L’influencer marketing è considerabile, quindi, come l’evoluzione digitale del referral marketing, il vecchio passaparola: nel corso degli ultimi anni, infatti, le persone tendono a fidarsi sempre meno della pubblicità tradizionale, preferendo le testimonianze e i consigli di amici, familiari o personalità ritenute esperte, influenti e imparziali. Al contrario dei classici banner pubblicitari o delle campagne di marketing tradizionali, le persone tendono a percepire le raccomandazioni degli influencer come imparziali e sincere perché si fidano dei loro consigli. Uno degli aspetti più straordinari dell’influencer marketing è il numero e la varietà incredibile di persone che possono essere coinvolte da una stessa azienda per portare avanti la propria strategia di comunicazione.
Gli influencer provengono da ogni Paese del mondo e coprono ogni area d’interesse e di mercato: dai personal trainer che condividono i loro allenamenti, alle fashion blogger che esibiscono il loro outfit, dai designer che mostrano il loro portfolio online, ai fotografi di viaggio, dagli chef che pubblicano le loro ricette a coloro che assaggiano i piatti di ristoranti e fast food del mondo, e tanto altro ancora. Esiste una differenza tra persone influenti e influencer, poiché il ruolo di questi ultimi non è solo associabile ai numeri, dal numero di like che ottengono o quelli dei loro follower. L’influencer, infatti, “deve distinguersi per alcuni elementi imprescindibili, quali reputazione, esperienza, competenza, passione e professionalità nel settore in cui opera. Non ci si può improvvisare”[4].
Quello dell’influencer è un lavoro a tutti gli effetti, in via di inquadramento giuslavoristico come previsto dal DDL Concorrenza del 2 agosto, con significative opportunità di reddito e di creazione di consenso.
I percorsi per iniziare sono diversi, a volte casuali, spesso imprevedibili e misteriosi, almeno tanto quanto gli algoritmi delle piattaforme che ne determinano il successo”[5].
“Ecco alcune caratteristiche che ci possono aiutare a riconoscere un vero influencer:
- ha una strategia di contenuti che si rivela in uno stile autentico e riconoscibile;
- non deve necessariamente essere un personaggio noto, ma deve aver fatto della sua passione un lavoro, comunicato in modo professionale. Può anche accadere che un influencer diventi poi una celebrity;
- ha una strategia di posizionamento sui social che presidia e sa come sfruttare al meglio i propri canali durante le collaborazioni con i brand;
- gode di una reputazione guadagnata nel tempo, diventando una voce autorevole nel settore che gli compete;
- ha forti capacità relazionali, on line e off line;
- genera empatia in ogni suo atto comunicazionale;
- spesso, ma non è una regola, si avvale di un team di professionisti che sa agire in modo tempestivo nella creazione di contenuti e nella presenza dei canali social”[6].
Se è vero da un lato, quindi, che per diventare influencer non si dovrebbe studiare perché quella di influenzare dovrebbe essere una caratteristica empatica innata, dall’altra parte ci sono delle competenze su cui è possibile lavorare come: la pazienza e tenacia per la costruzione della reputazione; uno spirito di intraprendenza e dinamicità; la capacità ed un approccio commerciale e finanziario per trattare con clienti, fornitori e collaboratori; una conoscenza approfondita ed aggiornata sui temi e le tendenze in cui si opera.
Certamente non basta una lista per riassumere tutto il lavoro necessario per diventare un influencer, ma posso tentare di riportare alcune delle questioni principali per avviare una carriera come imprenditori o imprenditrici digitali:
- “Capire attraverso la ricerca qual è lo stato dell’arte del settore in cui si opera. Chi sono i principali attori, come si comportano e che stile comunicativo hanno.
- Definire qual è il nostro target group di riferimento capendo come si comportano i nostri interlocutori, quali piattaforme social prediligono e quale tipo di contenuti apprezzano maggiormente.
- Definire gli investimenti da fare destinando un budget alle attività e alle figure professionali necessarie per la creazione di contenuti.
- Capire di che tipo di collaborazioni abbiamo bisogno. Che attività possiamo delegare e quali sono le figure professionali maggiormente adatte al nostro caso.
- Intercettare i possibili clienti e sapersi relazionare con loro in ogni tipo di situazione. Capire come proporsi, come intercettare il loro interesse, capire se possiamo fornire servizi in esclusiva, se accettiamo la possibilità di collaborazioni win-win, se vogliamo avere come clienti molte piccole realtà o se preferiamo invece avere pochi clienti top brand.
- Essere consapevoli di se stessi e del proprio business, avendo chiari quali sono i propri punti di forza e quali quelli di debolezza, sapere qual è il valore del posizionamento che si ha sul mercato in cui si vuole operare, quanto si è disposti a condividere della propria sfera privata sui social media e con che attitudine intendiamo approcciare i commenti positivi e quelli negativi”[7].
Il mondo dei creatori di contenuti digitali è un motore ad alto impatto sociale, economico e, non da ultimo, politico, in cui coesistono il nano tiktoker, vicino di casa, e l’ubiqua celebrity Chiara Ferragni.
“Continua ad essere un fenomeno “giovane” quello dei creator (oltre il 60% è under 30). Un trend spiegabile con la maggior consapevolezza di utilizzo dei media digitali, accentuati in questo anno dalle esplosioni di canali nuovi e fortemente orientati ai più giovani come TikTok e Twitch.
Resta comunque una forte presenza anche del cluster 30-40, figli della prima digitalizzazione”[8].
Per capire meglio chi sono e qual è il valore degli influencer, è possibile suddividerli in cinque macrocategorie: nano; micro; mid; macro; mega o celebrità. Vediamole nel dettaglio per ciascuna categoria, insieme al tasso di engagement influencer medio, ovvero il rapporto tra il numero di interazioni e quello degli utenti che hanno visualizzato un contenuto:
- Nano-influencer: i nano-influencer hanno tra i 1.000 e i 5.000 follower. Sono persone comuni che hanno saputo costruirsi un discreto seguito di utenti leali e fortemente coinvolti. Fare l’influencer non è il loro lavoro principale. Secondo Hype Auditor, hanno un tasso di engagement medio del 5%, superiore a ogni altra categoria.
- Micro-influencer: i micro-influencer hanno tra i 5.000 e i 20.000 follower. Interagiscono attivamente con i loro seguaci e sono ritenuti esperti affidabili e imparziali della nicchia di mercato in cui operano. Hanno un tasso di engagement medio del 1,7%.
- Mid-influencer: i mid-influencer hanno tra i 20.000 e i 100.000 follower. Il loro pubblico, pur essendo vasto, è fidelizzato e ben definito in termini di gusti e interessi. Hanno un tasso di engagement medio del 1,4%.
- Macro-influencer: i macro-influencer hanno tra i 100.000 e 1 milione di follower. Sono persone affermate che collaborano attivamente con brand che cercano influencer per la promozione di prodotti. Hanno un tasso di engagement medio del 1,3%.
- Mega-influencer e/o celebrità: in questa categoria rientrano tutti gli influencer che hanno oltre 1 milione di follower. Si tratta di personaggi famosi e celebrità, generalmente arruolabili da brand e aziende con un budget importante da dedicare all’influencer marketing.
Ecco un grafico che riassume i tassi di engagement influencer suddivisi per categoria[9]:
[1] https://www.ninjacademy.it/web-marketing-cose-a-cosa-serve-e-come-diventare-un-esperto/
[2] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[3] Ibidem
[4] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[5] https://www.varesenews.it/2022/09/dai-balletti-gli-stiker-ai-giovani-imprenditori-del-porno-creatori-contenuti-digitali-influencer-guadagnano-sempre-piu/1494703/
[6] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[7] Ibidem
[8] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Influencer Marketing Report 2020
[9] https://www.shopify.com/it/blog/influencer-marketing-instagram-guida
“Un mercato ormai di professionisti quello dei creator e che necessità assolutamente di budget per le attività. Crescono dal 16,5% del 2019 al 34,3% odierno gli influencer che richiedono una retribuzione per la propria attività”[1].
La spesa globale per le campagne e le azioni di influencer marketing è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni. “Secondo uno studio di Marketing Hub, il numero di aziende che sfrutta l’influencer marketing è cresciuto del 26% nel 2021. Inoltre, secondo report di quest’anno, l’industria dell’influencer marketing è destinata a crescere fino a 16,4 miliardi di dollari nel 2022”[2]. Lo stesso report dimostra che “le piattaforme focalizzate sull’influencer marketing hanno raccolto più di 800 milioni di dollari di finanziamenti solo nel 2021”[3]. Tutto questo a dimostrazione del fatto che “l’influencer marketing continuerà a crescere, diventando uno dei principali strumenti di marketing per i prossimi anni a venire. Ecco alcuni dei vantaggi dell’influencer marketing”[4].
La portata del fenomeno degli influencer nel nostro Paese ha fatto in modo che si creasse, l’Onim (Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing)[5]. L’idea è nata da un’intuizione di Matteo Pogliani e consiste un’associazione senza fini di lucro, aperto a tutti gli stakeholder che operano nel settore dell’Influencer Marketing che con le sue attività si prefigge di informare ed educare sul tema, rendendo migliore l’approccio e l’utilizzo dell’Influencer Marketing per tutti gli attori coinvolti (influencer, agenzie, brand, software house, marketplace).
L’importanza del tema degli influencer non è legata al solo impatto quantitativo in termini economici, bensì al loro ruolo sulla vita delle persone. I social, infatti, sono ormai parte integrante delle nostre vite, ed attraversando diversi ambiti: dalla musica al cinema, passando per serie TV, moda, bellezza, cibo, informazione, arte, etc.
La piattaforma Social Media List certifica l’esistenza di oltre 250 social network nel mondo[6]. La rappresentazione geografica che riportiamo, realizzata da Vincenzo Cosenza grazie ai dati provenienti dalla ricerca di Alexa e SimilarWeb, ricostruisce la panoramica di utilizzo dei social nel mondo.
[1] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Influencer Marketing Report 2020
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] https://www.onim.it/
[6] https://socialmedialist.org/
“L’infografica ci mostra il primeggiare incontrastato di Facebook, presente in 153 Paesi dei 169 totali presi in esame, raggiungendo un livello di presenza globale pari al 92%. I social di casa Zuckerberg, sia Facebook che Instagram, sono vietati in Cina, [..] motivo per cui QZone è così utilizzato in quest’area”[1]
I social network di influencer marketing più popolari sono: Instagram; YouTube; TikTok; Facebook; Blog o siti web; Twitter; Twitch; Snapchat. Occorre avere ben chiaro su quale, o quali, social media puntare[2]. Ogni piattaforma social, infatti, ha le proprie dinamiche di funzionamento tecnico e di approccio cognitivo da parte degli utenti molto diverse. Conoscere i social media significa anche selezionare il mezzo che ottempera appieno alla strategia dei contenuti che vogliamo implementare.
“Instagram, anche nel 2021, si conferma il principale canale per attività con creator e influencer, staccando le altre piattaforme in modo netto. Mantiene un utilizzo ampio anche Facebook, nonostante la minor attività e centralità degli influencer. Sale ampiamente come preventivabile TikTok, piattaforma capace di valorizzare l’attività dei creator e, quindi, le collaborazioni con i brand. Numeri minori ma comunque importanti per YouTube e Twitch, canali estremamente idonei e performanti lato IM, ma più complessi da utilizzare sia dal punto di vista progettuale che, soprattutto, da quello del budget”[3].
Quali saranno le direzioni che prenderanno la content creation e l’influencer marketing?
Il primis, possiamo dire che nel futuro ciò che vivremo maggiormente sarà il metaverso. Alcuni influencer sono già traghettati in questo nuovo mondo: “Tra i 10 creators italiani ci sono Fjona Cakalli, ideatrice di Games Princess, il primo sito italiano dedicato ai videogiochi gestito esclusivamente da ragazze; Aya Mohamed e Sumaia Saiboub, provenienti dal mondo della moda, che raccontano la loro visione con un forte senso di identità culturale; Eugenia Longo, che esprime la propria creatività nel segno della self-acceptance. Ci sono anche le food creator Cibosupersonico, esperienze culinarie a base di piatti sani; Chiara’s Cakery, che ha fatto della pasticceria la sua missione. Dal mondo lifestyle, c’è Macy Fancy, uno sguardo sulla black beauty. E, ancora, la campionessa di nuoto paralimpica Arianna Talamona e l’artista Francesco Spedicato”[4].
In secondo luogo c’è chi sostiene che saranno i dipendenti delle stesse aziende a rappresentare i nuovi “people-storytelling”, ovvero, “più personalità provenienti da settori interni con mansioni differenti [diventeraano] ambassador dell’azienda per cui lavorano”[5]. I brand, infatti, stanno cercando di abbattere sempre di più il muro che li separa dai loro interlocutori. Con questo scopo si stanno via via spogliando, sempre più, di tutte le tecniche che vengono percepite come invasive o strumentali, finendo per prediligere canali umani ed autentici. E’ in questo senso, perciò che possiamo dire che nel prossimo futuro la comunicazione aziendale diventerà un atto di fiera appartenenza, che per questo motivo andrà coltivato e curato.
Per completare l’analisi del tema dell’articolo abbiamo intervistato per voi tre influencer attivi in diversi settori creativi:
Ivan Cottini, ballerino
Meriem Delacroix, pittrice
Giulia Gambini, modella
In che modo ti reputi un creativo?
Ivan Cottini: “Io mi reputo un grande creativo perché nel momento in cui mi sono ammalato e ho iniziato a perdere l’uso del mio corpo ho avuto la capacità di reinventarmi e soffermarmi sulle quelle parti buone e da lì ripartire e tornare a sognare, ma soprattutto essere protagonista e regista della mia vita, senza rimanere seduto a fare il malato, a commiserarmi ogni giorno del perché proprio a me o ad avercela con il mondo”.
Meriem Delacroix: “Sono sempre stata una creativa a modo mio, fin da piccola non mi esprimevo a parole ma a colori, e questa naturale caratteristica e diversa sensibilità è diventata nel tempo il mio lavoro, rappresentando il mondo che vedo io, difficile da vedere per gli altri. Sono una persona neurodivergente, nel bene e nel male, e questo desta sicuramente curiosità negli altri”.
Giulia Gambini: “Sono creativa nel modo di creare i contenuti: cerco sempre di crearne di interessanti, o che possano essere utili alla mia community, mi piace proporre un’immagine di me colorata e allegra!”.
Qual è il tuo talento? E come lo proponi sui social?
Ivan Cottini: “Io non so se sono davvero un talento. Quello che so è che la vita, perché è proprio così bella, mi ha fatto scoprire la danza, che prima non conoscevo, nel momento in cui ero sulla sedia a rotelle e, quindi, quando ero già malato e avevo già perso l‘uso di alcune parti del mio corpo. Tramite essa ho scoperto due cose importanti: la prima è che potevo prendere a calci questa malattia che vuole tanto tenermi seduto; e la seconda è che posso stare bene psicologicamente, e se tu stai bene nella testa puoi affrontare qualsiasi sfida che la vita ti mette davanti. Ora sono ormai undici anni che racconto sui social questa mia seconda vita da malato e ballerino. Lo faccio per motivare e per essere uno stimolo per tante persone che vivono la disabilità o il proprio stato di malattia rimanendo seduti ad osservare il mondo che gli passa davanti”.
Meriem Delacroix: “Sono una pittrice affetta da una condizione neurologica che si chiama “sinestesia” e che influenza il mio modo di percepire il mondo: i miei sensi sono “fusi” tra loro, significa che quando sento un suono, vedo un colore, oppure quando sento un profumo, ne riesco a toccare la consistenza. Ciò che faccio è di imprimere le sensazioni visive su tela, come il colore della musica o il colore dei sapori.
I social sono importantissimi poiché facendo arte visuale, sono il canale migliore per poter unire l’arte visiva alla sua descrizione. In contemporanea li uso anche per diffondere un po’ di consapevolezza sulle differenze delle altre persone e di empatia in generale”.
Giulia Gambini: “Ho il talento di trasmettere messaggi di positività grazie al mio vissuto e al mio sorriso, con il quale cerco di promuovere la consapevolezza riguardante la nevralgia trigeminale, patologia neurologica di cui si parla ancora troppo poco”.
Cosa significa per te essere un influencer?
Ivan Cottini: “E’ molto stimolante perché, da una parte, mi dà tante responsabilità, ma dall’altra mi dà anche tante soddisfazioni. Sono, infatti, tantissime le persone che ad oggi mi seguono e che mi hanno emulato, tornando a sorridere e, soprattutto, a non vivere più da malati anche se hanno una disabilità o una malattia. Tramite me hanno visto, infatti, che tutto si può e che non è come lo fai l’importante, ma cosa ti dona e ti lascia dentro quello che fai”.
Meriem Delacroix: “Divulgare, informare e fare un po’ sognare attraverso l’arte. È incredibile il calore che si riceve da persone totalmente estranee, quando si ha una connessione su un certo argomento. È anche importante soppesare quello che si dice e come lo si dice, da una parte si rischia di essere mal interpretati, dall’altra si rischia di ricevere qualche critica. È un lavoro come un altro con le proprie caratteristiche”.
Giulia Gambini: “Se sono un influencer posso solo dire grazie alla mia community che mi vuole bene, il loro affetto arriva dritto al cuore! Per me essere influencer vuol dire trasmettere messaggi positivi di amore e cura verso se stessi e il proprio corpo!”
Quali sono gli aspetti positivi di essere un influencer e quali, invece, quelli negativi?
Ivan Cottini: “L’essere un influencer ti espone a tutto, sia a cose positive che negative.
Io il più delle volte mi soffermo sulle persone che mi criticano o insultano, perché alla fine sono un comunicatore e forse alcune volte sbaglio come mi pongo o come mi mostro sui social. Trovo molto interessante un confronto civile, anche se il più delle volte sono insulti di persone che vedono ciò che faccio solo come strumento per mettere in mostra la malattia e farci i soldi, lucrarci insomma, piuttosto che vedere il senso positivo che lascio alle persone che mi vedono”.
Meriem Delacroix: “Gli aspetti positivi sono l’amore e il supporto virtuale che si riceve ogni giorno da migliaia di persone, la possibilità di comunicare ad un vasto pubblico e il lavoro che spesso può avvenire ovunque: a casa, durante il viaggio e anche in vacanza. È bello poter creare costantemente contenuti e chiedere direttamente e in tempo reale il parere delle persone.
Quelli negativi per me sono davvero pochi e li riscontro più che altro relativamente all’opinione di alcune persone che ti dicono che, se non ti spacchi la schiena in miniera tutto il giorno, allora il tuo non è un vero lavoro. A queste persone dico che i lavori sono innumerevoli, dalla miniera all’ufficio, dal ricevimento in hotel al manovrare una nave o cantare su un palco, e nessuno è migliore di un altro finché ci saranno utenti e pubblico che ne usufruiscono. Sono solo visioni diverse e forse un po’ estremizzate da un pensiero che non comprendo.
Giulia Gambini: “Aspetti positivi: non mi sento mai sola, c’è sempre chi mi appoggia e anche condividere gli aspetti più veri della vita come le lacrime o i momenti no, aiuta a non sentirsi soli!
Aspetti negativi: con i followers aumentano anche gli haters, bisogna farsi scivolare la negatività addosso!”.
Come hai fatto a diventare un influencer?
Ivan Cottini: “Tutto è nato per caso. Io undici anni fa’ mi sono affacciato sui social non vergognandomi i quello che stavo affrontando, che era la malattia che mutava il mio corpo. Ho cominciato a raccontare come Ivan, giorno dopo giorno, affronta la malattia e la sorte di questa vita. E, giorno dopo giorno ,tante persone si sono appassionate alla mia storia e hanno cominciato a seguirmi sui social. Ma non solo persone che hanno una disabilità o una malattia. Penso, infatti, che il novanta per cento delle persone che mi seguono sono persone che stanno bene, ma che vedono in me una fonte positiva che ogni giorno, attraverso quello che pubblico, dona loro emozioni e positività per affrontare le proprie giornate”.
Meriem Delacroix: “È stato totalmente casuale e non cercato. Nel tempo ho creato il mio profilo instagram in cui mettevo le tipiche foto “instagrammabili”, dopodiché ho deciso di far vedere alle persone il mio lavoro, ho quindi iniziato a pubblicare i miei quadri, le mostre e tutto il resto, da qui il pubblico si è “selezionato” in ambito artistico ed eccomi qui, una pittrice che è anche influencer”.
Giulia Gambini: “Lo sono diventata parlando di me agli altri e condividendo la mia storia, ognuno di noi ha una storia alle spalle e raccontarla spesso può aiutare anche altre persone, perché la condivisione aiuta sempre!”.
Come riesci a monetizzare in quanto influencer?
Ivan Cottini: “Una mia grossa pecca è che io non monetizzo i risultati raggiunti con Instagram. Anzi, ci dedico anche pochissimo tempo, giusto venti minuti o un quarto d’ora al giorno in cui pubblico una o due storie dove racconto brevemente la mia giornata e basta.
Trovo che oggi come oggi si sia perso moltissimo il vero senso dell’uso che dovevamo fare dei social. Io mi ricordo i primi tempi, undici anni fa’, quando con tante persone disabili o malati ci si confrontava o ci si chiedeva consigli e ci si univa per le battaglie sui diritti dei malati, sulle barriere architettoniche. Avendo io visibilità televisiva, mi chiedevano di portare certe tematiche in televisione. Questo undici anni fa’. Oggi, invece, si è tutti contro tutti, ed anche noi disabili non facciamo più gioco di squadra, sui social vogliamo soltanto apparire ed ognuno andare per la sua strada. Quindi, secondo me, abbiamo perso l’obiettivo al quale servivano i social”.
Meriem Delacroix: “Non pensavo che con Instagram avrei avuto un riscontro di questo tipo, all’inizio. In realtà moltissima gente usa questo canale non solo per guardare post di amici e reel divertenti, ma anche per ricercare “affari” e così via, arte compresa. Una buona parte delle persone che acquistano i miei quadri o che partecipa alle mie mostre, viene anche da instagram”.
Giulia Gambini: “Grazie alle sponsorizzazioni, anche se per me è una passione più che un lavoro e soprattutto lo faccio per trasmettere messaggi positivi più che per interessi economici”.
[1] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[2] https://www.shopify.com/it/blog/influencer-marketing-instagram-guida
[3] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Brand & Marketer, Report 2021
[4] https://www.influenxer.it/gossip/aaa-cercasi-creator-per-il-metaverso/
[5] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
“Disability is not a limit, you are the limit” la collezione di fashion design di Emilia Torcini
Chi sono…
…sono Emilia Torcini, ho 25 anni e sono laureata in fashion designer, sono nata da un parto trigemellare. Essendo prematura, ho subito dei danni all’emisfero cerebrale destro, che mi impediscono di camminare con disinvoltura.
Sin da piccola, mi sono sentita diversa rispetto ai miei coetanei, perché le persone guardavano la mia disabilità e non la mia persona: si allontanavano, mi deridevano.
Isolata, la moda è stata per me un’ancora di salvezza, perché mi ha permesso di elaborare un linguaggio solamente visivo, in cui sono le creazioni e non il creatore le protagoniste.
La collezione “Disability is not a limit, you are the limit” vincitrice “Vogue Talent award durante la Milano Moda graduate indetto dalla Camera nazionale della moda italiana
La collezione si ispira agli anni ’40 quando – pur nascendo le prime associazioni su diritti civili e di sensibilizzazione – la disabilità non era accettata. Chi ne veniva colpito, senza colpa, veniva nascosto. Anche il Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, affetto da poliomielite era terrorizzato dal fatto che le persone giudicassero la sua disabilità piuttosto che le sue capacità di leader e si rifiutava di mostrarsi in fotografie e filmati. Oggi non è molto diverso.
Ho lavorato sulla giacca sartoriale inglese, perfetta e modellata sul corpo, simbolo di un establishment convenzionale e tradizionalista, accostandola all’idea che per i disabili, l’abbigliamento deve essere “comfort e utility”. Ho così rivisitato l’abbigliamento classico inglese, con i suoi pied-de-poule, i panni e le lane cotte, sui quali ho inserito asole in contrasto di colore verde, simbolo della Giornata della Paralisi Cerebrale Infantile.
Ho rifinito gli interni con nastri parlati che denunciano le contraddizioni di un mondo apparentemente perfetto; grazie ai tessuti di fibre naturali ed ipoallergeniche ho disegnato linee sono semplici e morbide, e i busti ortopedici di scarto, simbolo di costrizione e di stigma, sono stati dipinti con le caricature di Roosevelt e di Jean Paul Sartre. Il grande filosofo francese ha, infatti, denunciato le contraddizioni del nostro tempo, vissuto da persone incapaci di comprendersi a vicenda.
Questa è una collezione a suo modo catartica. Da un lato, ha permesso di rappresentare il mio vissuto doloroso, sublimato in capi senza tempo dal forte impianto artigianale;dall’altra, consente a persone come me di avere una propria voce.
È una collezione che vuole denunciare questa società non inclusivi
Progetti futuri:
Restare nella moda è fondamentale per me, entrare in un azienda ancor di più perché sono una persona molto curiosa e voglio imparare il più possibile.
L’importante è di crederci sempre! Vedremo cosa mi riserverà il futuro! Perché può accadere di tutto.
Continuare battermi per inclusione, attraverso interviste ecc… perché con la mia storia posso dare forza e speranza alle persone come me! Di crederci e lottare per i propri sogni perché il diverso è bello!
Emilia Torcini
"L'Event Marketing"
Spettacoli, manifestazioni ed altri eventi hanno oggi un ruolo molto più rilevante che in passato: oltre a momenti di divertimento e socializzazione, infatti, essi sono mezzi per comunicare ed elementi delle strategie di marketing sempre più utilizzati da enti, aziende, territori, destinazioni turistiche.
Sono questi i temi affrontati dal volume di Sonia Ferrari ‘Event marketing. I grandi eventi e gli eventi speciali come strumenti di marketing’ oggi alla quarta edizione, che è stata appena pubblicata dall’editore Wolters Kluwer. Il libro, che rappresenta da anni un importante punto di riferimento per gli studiosi di eventi in Italia, approfondisce i temi dell’impatto di festival ed altre manifestazioni sul territorio e del loro ruolo come strumenti di comunicazione per soggetti di varia natura.
Nell’odierna economia dell’esperienza, in cui i consumatori ricercano esperienze uniche ed indimenticabili e le imprese desiderano creare con essi rapporti forti e duraturi, mentre le destinazioni turistiche e i territori competono in modo sempre più acceso, gli eventi rappresentano, infatti, leve di marketing dall’importanza crescente. Sono strumenti che possono rafforzare immagine, brand e posizionamento, differenziare l’offerta, far sì che uno sport o una forma d’arte diventino veicoli per coinvolgere consumatori, residenti, finanziatori, investitori.
Questa quarta edizione del volume affronta temi nuovi, anche alla luce dell’evoluzione dei consumi nel post-Covid, e presenta numerosi casi ed esempi stimolanti. Il lettore sarà accompagnato alla scoperta del settore degli eventi attraverso gli occhi dello studioso interessato a conoscere effetti, impatto, implicazioni di marketing ed eredità di eventi speciali e grandi eventi, ma anche di manifestazioni meno rilevanti, in termini socio-culturali, ambientali ed economici. L’autrice, Sonia Ferrari, insegna Marketing Territoriale e Marketing del Turismo all’Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha presieduto il corso di laurea in Scienze Turistiche e la laurea magistrale in Valorizzazione dei Sistemi Turistico-Culurali. I suoi principali interessi di studi e ricerca riguardano, oltre all’event marketing, tematiche relative al marketing del turismo, il turismo esperienziale, il turismo delle radici.
Un capitolo del volume, scritto dal sociologo Chito Guala, studioso di queste tematiche da anni e conosciuto a livelli internazionale, è dedicato alle Olimpiadi ed altri grandi eventi come momenti di avvio di processi di rigenerazione urbana. Con Guala la Ferrari ha realizzato numerose pubblicazioni internazionali.
Sonia Ferrari
FARE QUELLO CHE TI PIACE E’ UNA COLPA!
Questa l’intenzione con cui mi sono state dette queste cose.
– Non penserai di campare facendo l’attrice
– Il tempo passa devi pensare alle cose serie e sicure
– Sveglia sei una qualunque non sognare troppo in grande
– Non potrai di certo farti una famiglia se continui così
Mi è stato detto più volte che non potevo pensare di farmi una famiglia e diventare mamma se continuavo a seguire ste fantasie; che il tempo passa e bisogna pensare alle cose serie e sicure; che con questo lavoro artistico non potevo di certo pensare di camparmi, magari di avere una casa e che dovevo preoccuparmi per la mia pensione; che per fare l’attrice avrei dovuto nascere ricca e con “la camicia” e non era propriamente il mio caso; che i sogni sono belli ma la realtà è un’altra; che la gente poteva pensar male se fossi riuscita a fare qualcosa come attrice e pensar ancora male se non ci sarei riuscita dicendo che si sapeva!
Nessuna di queste persone mi ha mai guardata davvero negli occhi e chiesto “come ti senti quando reciti, quado stai su di un palco; come vorrai vivere la tua vita da attrice” e molte altre le cose che spesso sento chiedere a chi viene considerato socialmente sano e inquadrato.
Mi sentivo obbligata a tacere senza il diritto di pensare che anch’io avrei potuto farcela.
Anch’io avrei potuto fare ciò che desideravo.
In scena mi sento al sicuro, mi sento forte mi sento bene!
C’è forse qualcuno tra di voi che non vorrebbe fare ciò che più desidera e che lo fa sentire bene?
Anch’io mi sono sentita sola e troppo spesso giudicata fino quando una voce, una soltanto non è stata li per sostenermi.
Sono pronta a scommettere che per ognuno di noi c’è qualcuno che aspetta solo di poterci sostenere qualsiasi cosa o lavoro noi scegliamo di fare!!
Mi sono chiesta spesso se stavo facendo la cosa giusta, se tutte quelle voci lo facessero solo per aiutarmi perché forse davvero io mi stavo sbagliando che inseguivo stranezze invece di accettare la realtà che mi era riconosciuta.
Ho rischiato di credere a chi mi riteneva strana!
E se ti dicessi che quella strana non sei tu?
A chi non è capitato di guardarsi allo specchio e per un attimo quasi non riconoscersi, ecco a me capita quando penso di lasciare la scena per fare qualcos’altro.
Che non è poi così sconosciuta quell’espressione di sorriso sul viso quando sei li a fare ciò ti piace e non senti null’altro se quanto stai bene!
Giovanna Barbero
Donna, Artista, Mamma e Compagna
SI E’ TORNATI A BALLARE ED A CANTARE!
Dopo gli anni segnati dalle restrizioni a causa delle disposizioni preventive contro il diffondersi del Corona Virus, l’estate 2022 è trascorsa all’insegna del ritorno dei giovani e dei meno giovani della voglia di ballare e di cantare tutti e tutte insieme. Il ritorno degli eventi off line ha giovato, in particolare, ad uno dei settori maggiormente penalizzato, ovvero quello della musica dal vivo e dell’intrattenimento.
Un settore davvero importante quello di cui stiamo parlando, come descrivono i dati (che come accade spesso nelle attività culturali non sono immediatamente ricavabili dalle informazioni statistiche standard ma devono essere ricostruite ad hoc), i quali stimano un totale di circa 72mila addetti alle imprese (0,4% degli addetti nazionali) a fronte di un valore aggiunto di 2,3 miliardi di euro (0,3% del totale nazionale)[1] per un impatto totale di circa 3,4 miliardi di euro[2], ovvero il 16% del PIL come descritto nel report “Io sono cultura” di Symbola riferito al 2017[3]. Da tener conto, inoltre, ci sono i numeri che rappresentano l’indotto dei concerti e soprattutto dai festival sui territori in cui essi vengono realizzati. Potremmo fare di questo diversi esempi, come il caso dei 36,5 milioni di euro che il Firenze Rocks 2019, ad esempio, aveva portato, nonché i suoi 15.500 spettatori i quali, già che c’erano, visitarono almeno un museo o altro luogo di cultura. Oppure dalla ricaduta economica sul territorio di 32 milioni di euro generata dalle ultime edizioni di Movement Torino Music Festival e Kappa FuturFestival. O anche l’indotto di 500 milioni di euro ottenuto grazie all’incremento di incassi e di pubblico (+8,56% delle presenze sul 2018) che aveva raggiunto l’Arena di Verona Opera Festival[4]. Tutte cifre queste che, purtroppo, in Italia sia politici che opinione pubblica tendono a trascurare. Un settore, quindi, forse sottovalutato quello della musica dal vivo e dell’intrattenimento che di sicuro in questi mesi estivi ha vissuto una ripartenza radicale anche rispetto anche lo scorso autunno-inverno, periodo in cui il Consiglio dei Ministri aveva concesso il via libera per la riapertura delle attività culturali, sportive e ricreative, tra le quali anche di discoteche e locali notturni, bensì stabilendo rigide precauzioni. Tra queste possiamo ricordare gli obblighi: di capienza dei locali imposto al 50% nei luoghi chiusi ed al 75% per gli spazi aperti; dell’uso di mascherine in fila per i servizi, tra cui toilette e bar, ma non in pista da ballo perché equiparato ad attività fisiche al chiuso; di verifica del possesso del Green pass, sia per gli spazi al chiuso sia per quelli aperti, verificato dagli addetti alla sicurezza all’ingresso. A proposito di queste disposizioni Antonio Flamini, Presidente di Silb Roma (Associazione Italiana Imprese da Ballo e di Spettacolo) dichiarava come, nonostante le norme fossero state da tutti e tutte recepite e messe in pratica, rimanevano non poche le perplessità che le norme vigenti lasciavano agli addetti. Per questo motivo tutti uniti (o quasi) multinazionali ed indipendenti, hanno sollecitato l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi, affinché la ripartenza non avvenisse a step, bensì immediatamente al completo, come già accadeva nello stesso periodo in Paesi come Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Inghilterra, Israele, Lettonia, Lituania, Olanda, Stati Uniti, Svizzera ed Ungheria[5]. Sia produttori di musica live che Associazioni di categoria (tra cui ad esempio Assomusica) invitavano, infatti, il Governo a riaprire col 100% della capienza, nel tentativo di risollevare un settore che era drasticamente finito in ginocchio.
Le ricerche dimostrano, però, come lo spettacolo dal vivo e l’intrattenimento siano stati i settori di attività più duramente colpiti dalle chiusure totali e dalle riaperture contingentate a causa della pandemia[6]. Il network Live DMA, sulla base dei dati raccolti presso i propri 2.600 membri, ha stimato che nel 2020 le strutture per la musica dal vivo europee abbiano perso, ad esempio, 1,2 miliardi di euro di ricavi a causa dell’annullamento o dello slittamento di almeno 284mila eventi e concerti. Cifre che portano a ritenere che ci sia stata una flessione del pubblico pari a 53 milioni di spettatori in meno, nonché un crollo del fatturato pari al 64% su base annua: dalla sola vendita di biglietti si sarebbero persi circa 496 milioni di euro e dalla mancata vendita di cibi e bevande la perdita dovrebbe aggirarsi attorno ai 521 milioni di euro. Tutto questo ovviamente si è tradotto in una riduzione del 70% di quanto corrisposto agli artisti oltre che in irreversibili licenziamenti e fallimenti[7].
La medaglia come sempre neanche in questa occasione non ha avuto solo una faccia. Durante questo periodo di epocali cambiamenti, infatti, si sono anche verificati casi di coloro i quali hanno approfittato della contingente pausa per gli eventi live per rivedere le proprie attività scoprendo, ad esempio, l’impatto positivo che le nuove tecnologie ed il digitale possono avere anche su questo settore. Molti del comparto musicale hanno, in primo luogo, recuperato consistenza grazie allo streaming audio e video, reso possibile dalla grandissima diffusione degli smartphone. Inoltre, c’è stato anche chi ha sperimentato altre formule di innovazione attraverso ad esempio i nuovi media: alcuni artisti hanno puntato a diventare influence o testimonial di produzioni mirate attraverso Istagram e Tik Tok[8]; altri hanno puntato sulla creazione di un loro canale Twitch, una piattaforma che si presta a monetizzare, sia attraverso la gente invia soldi direttamente, che attraverso l’uso di pubblicità commerciale[9]. C’è stato anche chi si è ripensato attraverso idee meno virtuali, ad esempio, come chi ha diversificato le proprie modalità di guadagno introducendo formule di vendita di merchandising oppure come il caso del gruppo degli addetti ai lavori legati a diverse società specializzate in produzione di eventi (Utopia, Zoo, Italstage e 3D Unfold), i quali hanno realizzato il progetto “Live Drive In” allo scopo di far assistere agli spettacoli ciascuno dalla propria auto, in spazi abbastanza larghi o mini-tribune separate, il tutto realizzato grazie all’utilizzo di megaschermi e palcoscenici dotati di generatori ad energia rinnovabile, di bagni auto-igienizzanti ed solo con l’uso di materiali ecosostenibili[10]. Eppure, dopo ben due lockdown alle spalle, riteniamo che la vera ripresa del settore ci sia stata quest’estate, in cui, finalmente, si è potuti tornati alla vera movida, ovvero a ballare e a divertirsi senza dover per forza stare seduti e senza nessuna distanza di sicurezza da mantenere. I numeri ed i fatti che abbiamo descritto, però, dovrebbero portarci ora ad insistere per fare un ben più importante e radicale cambiamento: bisognerebbe, cioè, iniziare a lavorare per far sì che gli italiani non considerino più irrilevanti cultura e spettacolo, magari facendo presente che l’arte e la musica, rappresentano una leva per l’aumento del benessere e dell’economia del nostro Paese.
Per completare l’analisi del tema dell’articolo abbiamo intervistato per voi due persone autorevoli impegnate nel settore della musica dal vivo e dell’intrattenimento:
Demetrio Chiappa, Presidente di Doc Servizi;
Francesca Martinelli, Direttrice – Fondazione Centro Studi Doc;
Edoardo Mazzilli, Imprenditore creativo, Event Manager e DJ.
1- Che ruolo riveste nella società il settore della musica dal vivo e dell’intrattenimento (sia a livello qualitativo che quantitativo ad esempio in termini di fatturato etc.)?
Demetrio Chiappa: “L’importanza di questo settore va ben oltre i numeri e le stime. Potremmo dire, infatti, che non si può vivere senza musica. La musica nella vita è vitale. Ognuno ha i suoi ritmi e la sua musica. Ed è per questa ragione che, sempre di più, la musica diventa uno strumento di marketing fondamentale anche per le aziende: ci sono aziende che si riconoscono, infatti, grazie ai suoni. Un esempio eclatante di questo è Netflix. Anche durante la pandemia la musica non si è arrestata. Perfino i balconi delle case sono finiti per diventare i palcoscenici in cui gli artisti hanno messo in scena i loro eventi musicali durante il lockdown. Quello che però molti trascurano è che l’industria della musica e degli eventi non è composta solo dagli artisti o dai tecnici della musica. Ci sono, infatti, tantissime figure collegate e necessarie, come il social media manager, i fotografi, l’ufficio stampa, e tanti altri ancora. In particolare, sono i creativi ad essere sempre più importanti per la vita di questo settore. I creativi ormai sono presenti in ogni ambito di impresa e della vita. La creatività è intrisa in tutti i settori dell’economia; per questo è tempo di eliminare la barriera che fino ad ora è esistita tra creativi e altri settori. Per non contare che l’Italia è sorta proprio sulle fondamenta della creatività”.
Francesca Martinelli: “Prima del 2019, la musica dal vivo impiegava circa 31 mila concertisti e orchestrali[11] e produceva all’incirca 1,5 miliardi di euro di volume d’affari[12]. Se consideriamo anche l’indotto, il volume d’affari si avvicinava ai 3,5 miliardi di euro[13]. Della musica dal vivo fanno parte la lirica, i concerti (classica, jazz, popolare), i concerti nei locali e all’aperto, tutte opportunità di socialità e arricchimento culturale che facevano parte della quotidianità degli italiani, abituati a spendere 72,5 miliardi di euro all’anno in attività di cultura e spettacolo, pari al 6,7% della spesa complessiva delle famiglie italiane nel 2019[14]”.
Edoardo Mazzilli: “In tutto il mondo il settore dell’intrattenimento e della musica dal vivo è importantissimo. Purtroppo in Italia non è considerato come all’estero per la sua importanza e la cosa sta peggiorando sempre di più.
2- Cosa hanno causato alle attività imprenditoriali di questo le disposizioni contro il diffondersi del Corona Virus?
Demetrio Chiappa: “La pandemia ha causato in molti casi il cambiamento del proprio lavoro per molti lavoratori del settore. Questo ha inevitabilmente portato alla chiusura di alcune imprese. Ma gli effetti per i nostri soci non sono stati solo negativi. Col nostro sostegno, ad esempio, molti sono riusciti a trovare lavori alternativi. Inoltre ci sono stati gli aiuti elargiti dal pubblico che hanno garantito un guadagno sicuro per durante i mesi del lockdown e della chiusura degli eventi dal vivo. Inoltre, degna di nota è stata la maggiore cooperazione che abbiamo visto esserci tra i nostri soci”.
Francesca Martinelli: “Com’è noto, l’impatto della pandemia legata al Covid-19 è stato particolarmente forte per i settori che basano la propria attività sull’organizzazione di eventi, com’è il caso della musica dal vivo. A causa delle chiusure obbligate e continue, il settore ha subito tra il 2019 e il 2020 una contrazione del 90% rispetto alla fruizione dei concerti dal vivo . Questa situazione ha portato a una perdita di 3/5 del fatturato, pari a circa 700 milioni di euro nella musica live e a un terzo dei musicisti (32,5%) che tra il 2019 e il 2020 ha smesso di lavorare nel settore, pari a circa 10 mila lavoratori in meno. Allo stesso tempo, la maggior parte dei tecnici dello spettacolo che ha lasciato il settore tra il 2019 e 2020 erano occupati nel settore della musica live, con un quinto che ha abbandonato per cambiare professione”.
Edoardo Mazzilli: “A me nello specifico la pandemia del Corona Virus ha causato moltissimi danni. In Italia però le conseguenze negative hanno riguardato più o meno tutti, e questo più che altri Stati perché c’è stata una vera e propria politica del terrore. Bloccando le attività da un momento all’altro non ci è stata data la possibilità di pagare i debiti che normalmente si fanno per mantenere le attività dei concerti e dei locali, come i fornitori. Questo è stato deleterio, non poteva succederci niente di peggio”.
3- C’è stato un miglioramento dopo le aperture della stagione autunno inverno dello scorso anno oppure le restrizioni minavano in ogni modo lo svolgimento delle attività culturali e ricreative?
Demetrio Chiappa: “La chiusura data dalla pandemia ha ovviamente generato momenti di grande tensione e drammatici. I primi a chiudere e gli ultimi ad aprire, e lo dico senza giudicare le scelte fatte perché è stato un periodo davvero complesso. E’ da considerare però che l’Italia viveva una situazione diversa da altri Paesi, poiché per esempio era stata la prima ad essere colpita dalla pandemia. Questo ha portato a dover fare scelte molto complesse, forse impopolari, che però dovevano essere fatte. C’è stato chi poi ha approfittato di questo periodo di vero trauma per commentare e criticare la politica. Ma i danni in verità ci sono stati ovunque e non si poteva fare di più di quello che è stato fatto”.
Francesca Martinelli: “Nonostante anche nel 2021 ci siano state numerose chiusure a causa della pandemia, le misure di contrasto alla stessa, quali zone colorate, allentamento delle misure di contenimento soprattutto nella seconda parte dell’anno e introduzione del green pass, hanno permesso di riprendere almeno parzialmente le attività nel settore. L’impatto della pandemia è restato però molto importante, perché le restrizioni sul numero di accessi, l’impossibilità di organizzare determinati eventi (es. concerti di grandi dimensioni o eventi come il Capodanno) e, per un certo periodo, anche di servire cibo e bevande durante i concerti, hanno pesato notevolmente sull’intero comparto, dimezzando ancora il fatturato delle imprese nel 2021 rispetto al 2019 e lasciando molti lavoratori a casa”.
Edoardo Mazzilli: “I miglioramenti con le aperture ci sono stati per forza di cose. Aprire è sicuramente meglio di dover tenere chiusi i locali e non poter fare eventi dal vivo. Il problema però è che non è stata una riapertura fatta con le dovute precauzioni, quindi, c’è chi ne ha goduto di più e chi di meno. In particolare, sono stati avvantaggiati coloro i quali avevano la possibilità di svolgere le loro attività grazie alla presenza di tavoli all’aperto. Molti locali, come il mio, che erano solo al chiuso sono stati penalizzati anche nel periodo delle riaperture rispetto a chi aveva un locale con aree esterne. La conformazione fisica della proprietà ha giocato, perciò, un ruolo determinante rispetto alla riapertura”.
4- Può citarmi dei casi in cui sono state realizzate innovazioni o miglioramenti alle attività imprenditoriali del settore approfittando del periodo di pausa dato dalla chiusura dei locali e degli eventi dal vivo?
Demetrio Chiappa: “Come doc Servizi durante il periodo di pandemia abbiamo deciso di profilare e mappare tutte le competenze e le skills dei nostri soci ed inserirle all’interno di un sistema informatico interno che ci permette di conoscere i nostri soci interamente. E’ così che abbiamo scoperto nuovi talenti ed abbiamo potuto ampliare le nostre offerte di servizi. Il nostro scopo è stato quello di far tesoro della crisi che abbiamo superato per non doverne più subire altre. Quella collegata alla diffusione del Covid-19, infattim, non è che una delle prime di una lunga serie che ci toccherà attraversare. Quello che abbiamo imparato è che il modello cooperativo può rappresentare un’importante leva per superare i momenti critici”.
Francesca Martinelli: “Il periodo di fermo ha portato il settore a dover ragionare su sé stesso e comprenderne meglio limiti e opportunità. Una delle innovazioni che ha portato il lockdown è sicuramente stata quella del digitale, un terreno poco percorso in precedenza ma che ha portato a nuove sperimentazioni, ad esempio, con locali e festival che hanno organizzato concerti in differita o che hanno sfruttato il web per creare nuovi legami con il pubblico. Quando gli eventi sono ricominciati, nuove tecnologie sono state introdotte anche per la gestione degli ingressi in modo da ammortizzare l’ulteriore costo di gestione legato al monitoraggio di green pass e assegnazione dei posti in modo da avere il giusto distanziamento. Oltre alla tecnologia, in assenza dei grandi concerti, abbiamo anche visto una maggiore diffusione di tipologie di eventi su piccola scala ma fortemente innovativi oltreché eco-compatibili, come percorsi nella natura con più performance o concerti pensati apposta per assistervi in bicicletta”.
Edoardo Mazzilli: “Io ho dovuto chiudere il mio locale durante la pandemia del Covid-19 e quindi non ho potuto fare miglioramenti o innovazioni”.
5- Questa estate abbiamo assistito alla riapertura dei locali notturni e la possibilità di realizzare eventi live. In che modo le attività dalla musica dal vivo e dei locali notturni hanno risentito di questi cambiamenti? Ci sono stati evoluzioni positive (ad esempio di fatturato, di impiego o altro)?
Demetrio Chiappa: “Il fatturato sta tornando al 2019. I miglioramenti sono stati tali da portarci a cambiare struttura ed organizzazione interna: ora siamo noi che portiamo lavori ai soci e non viceversa”.
Francesca Martinelli: “Sicuramente alcune forme di ottimizzazione per la gestione delle pratiche legate al Covid-19 sono state utilizzate anche per meglio gestire le attività imprenditoriali in seguito. Molti dei locali che sono riusciti a sopravvivere al terribile impatto della pandemia sono quelli che hanno differenziato la loro attività e stretto partenariati con altre realtà, creando reti. Ciò non toglie che la stagione estiva appena trascorsa sia stata molto complicata. La grande perdita di personale subita dal settore a causa della pandemia ha fatto soffrire molto il mondo della musica live portando a non poche difficoltà organizzative legate tanto alla carenza di personale quanto all’ingresso di nuovo personale meno qualificato del precedente. Nei due anni di pandemia è anche cambiato molto il modo in cui si fruisce della musica dal vivo, soprattutto da parte delle nuove generazioni, e gli imprenditori del settore stanno ancora analizzando i nuovi comportamenti”.
Edoardo Mazzilli: “In Italia tutti quelli che, al contrario mio, non hanno dovuto chiudere le loro attività durante il periodo di lockdown, hanno potuto riaprire senza nessuna condizione. Questo ha portato molto caos: pochi incassi, molte spese, bassa qualità delle offerte sul mercato, fattore legato alla mancanza di capitale da investire che non è stato possibile avere a causa del precedente periodo di mancato lavoro. In più, a differenza di quanto gli slogan della pandemia dicevano, non si è usciti dalla crisi migliori. La nuova organizzazione del settore della musica dal vivo e dell’intrattenimento è stata fatta, infatti, a ribasso, nel tentativo di colmare i mancati guadagni del periodo di fermo delle attività. Questo è accaduto sia dal punto di vista del ristoro, che dal punto di vista del costo dei biglietti, i quali hanno finito per lievitare drasticamente, così come è successo per il costo degli artisti e delle agenzie. Inoltre, ritengo che il pericolo sia ancora dietro l’angolo. Ora, infatti, che è estate tutti e tutte hanno voglia di uscire e vivere gli eventi e i locali aperti, ma sicuramente ci sarà un altro periodo di chiusura che ci mostrerà chi sopravvivrà anche a questo e chi no. Il problema vero è che, spesso, chi ce la fa non è detto che rimanga sul mercato perché è bravo. A volte sopravvive chi semplicemente ha maggior capitali da investire rispetto ad altri. Questa pandemia sta, quindi, portando a galla moltissime ingiustizie, evidenziando quelle che già esistevano e creandone di nuove. Tutto è in particolar modo legato ai i soldi: persone validissime non potranno più rimettersi in piedi nonostante le loro capacità, come nel mio caso, che ho dovuto chiudere un locale in cui avevo investito tutto. Molti posti speciali hanno vissuto la mia stessa brutta sorte e purtroppo non apriranno più portando una perdita anche alla nostra società”.
6– In che modo Doc Servizi si è mossa per tutelare le imprese, nonché i lavoratori e le lavoratrici di questo settore? Ha messo in pratica qualche buona pratica che può citare?
Demetrio Chiappa: “In generale posso dire che è stata dimostrata l’importanza di essere organizzati e di avere al nostro interno competenze professionali elevate sia per quanto riguarda il rapporto tra le persone, i bilanci di competenza, le analisi dei business plan, etc.
Nonostante questo, però, continuiamo ad essere caratterizzati da una gestione orizzontale e soprattutto dall’investimento sulle persone, sui soci, sulle loro competenze e professioni e sulle loro passioni oltre che sulle loro capacità. E’ per questo che facciamo molta formazione al nostro interno”.
Francesca Martinelli: “Ora che ci troviamo a freddo rispetto allo scoppio della pandemia possiamo dire che Doc Servizi ha risposto con prontezza alla difficile situazione. La sua risposta si è divisa principalmente in tre azioni. La prima è stata il sostegno all’azione di lobby della Fondazione Centro Studi Doc a favore dei lavoratori dello spettacolo, che è diventata involontariamente uno dei loro portavoce presso il governo italiano dopo aver lanciato la petizione “#nessunoescluso Appello urgente per sostegno ai lavoratori dello spettacolo”. L’attività di lobby ha portato al riconoscimento dei bonus per i lavoratori dello spettacolo, per un totale di 80.000 persone che hanno ricevuto dal Governo 640 milioni di euro. La seconda è stata l’azione come rete di sicurezza per i lavoratori dello spettacolo, supportandoli attraverso assistenza h24, opportunità di formazione, informazione costante sull’evoluzione delle normative, profilazione delle competenze per capire se i lavoratori potessero essere ridirezionati in settori meno colpiti dalla crisi. La terza azione invece è stata un’importante revisione dell’organizzazione interna per reagire prontamente agli effetti della crisi che ha portato a rivedere l’intero organigramma funzionale con l’introduzione di nuove figure, nuovi progetti e nuovi strumenti per la gestione al meglio delle attività”.
7- Rispetto alle altre imprese del settore le cooperative socie di Doc Servizi come hanno reagito al periodo Covid-19 e post restrizioni?
Demetrio Chiappa: “La profilazione i soci ci ha permesso di comprendere meglio le competenze di ciascuno dei nostri soci e confrontarle con gli altri ambienti. Grazie a questo importante lavoro abbiamo, quindi, cercato di indirizzare le persone a lavorare in altre situazioni in cui poteva servire il loro intervento. In questo modo siamo riusciti a mantenere le persone al lavoro nonostante il periodo di pausa. Ed oltre il lavoro per i nostri soci abbiamo lottato per garantire più tutele per tutti e tutte. Gli intermittenti dello spettacolo, infatti, non erano figure conosciute dal governo, il quale ignorava prima perfino quanto fosse grande il bacino di utenza dello spettacolo. I nostri soci si sono sentiti protetti da Doc Servizi e così anche i collaboratori. Questi ultimi, infatti, non sono stati licenziati ma messi in cassintegrazione. Grazie a questa scelta oggi, con la ripresa del settore, abbiamo potuto rintegrarli tutti. E finalmente siamo felici del fatto che stiamo tornando a fare grandi numeri non solo in termini di eventi, ma anche in termini di fatturato”.
Francesca Martinelli: “A causa degli effetti da pandemia Covid-19, nel corso del 2020 la Rete Doc nel complesso ha perso il 52% del fatturato rispetto al 2019. Ovviamente la cooperativa che ha sofferto di più è stata Doc Servizi, dato che opera nello spettacolo e nel turismo, con una perdita del 60% rispetto al 2019. Operando prevalentemente nel settore spettacolo ed eventi, hanno sofferto un calo di fatturato attorno al 24% anche le cooperative STEA, che gestisce la sicurezza negli eventi, e Doc Educational, dedicata al mondo dell’insegnamento delle materie artistiche e della formazione, le cui difficoltà sono però state mitigate dalla possibilità di effettuare lezioni anche in modalità videoconferenza. In controtendenza invece l’attività delle cooperative Doc Creativity e Hypernova dato che i soci lavorano nell’ambito del digitale e delle nuove tecnologie, che hanno visto una crescita attorno al 2,5%. In sintesi, si può dire che il sistema ha tenuto perché le cooperative meno orientate verso il settore dello spettacolo e degli eventi hanno risentito in misura molto inferiore della crisi pandemica, registrando nel 2020 flessioni di fatturato relativamente contenute, e hanno potuto così sostenere le realtà maggiormente colpite dagli effetti della pandemia”.
Elisa Badiali
[1] http://www.irpet.it/wp-content/uploads/2022/04/nota-1_2022-osservatorio-regionale-della-cultura.pdf
[2] http://www.centrostudidoc.org/2020/02/14/tra-i-3-e-i-5-miliardi-limpatto-del-sommerso-nella-musica-live-secondo-il-centro-studi-doc/
[3] https://www.rockit.it/articolo/tutti-numeri-crisi-mercato-musicale-qualche-idea-ripartire
[4] https://www.symbola.net/approfondimento/musica-covid19/
[5] https://www.rockit.it/articolo/musica-dal-vivo-tempo-gradualita-purtroppo-finito
[6] http://www.irpet.it/wp-content/uploads/2022/04/nota-1_2022-osservatorio-regionale-della-cultura.pdf
[7] https://businessweekly.it/notizie/concerti-e-musica-dal-vivo-i-numeri-dellimpatto-covid/
[8] https://www.symbola.net/approfondimento/musica-covid19/
[9] https://www.symbola.net/approfondimento/musica-covid19/
[10] https://www.symbola.net/approfondimento/musica-covid19/
[11] INPS.
[12] SIAE.
[13] elaborazione su base di calcolo indotto CERVED, pari 1,2 euro per 1 euro.
[14] Federculture.