Talento e creatività contro la violenza di genere

Intervista a Anna Silvia Angelini e Daniela Furlani

ed analisi del fenomeno

di Elisa Badiali

 

“Esiste una verità universale,

applicabile a tutti i paesi, culture e comunità:

la violenza contro le donne

non è mai accettabile, mai scusabile, mai tollerabile."

Segretario generale delle Nazioni Unite,

Ban Ki-Moon (2008)

 

25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE: INTERVISTA A ANNA SILVIA ANGELINI E DANIELA FURLANI

 

1) La violenza contro le donne è diffusa a livello globale. La lettura del fenomeno invia un messaggio forte: la violenza contro le donne non è un piccolo problema che si verifica solo in alcune sacche della società, ma piuttosto un problema di salute pubblica globale di proporzioni epidemiche, che richiede un'azione urgente.

Proprio per queste ragioni, è tempo che il mondo agisca: una vita libera dalla violenza, infatti, è un diritto umano fondamentale, che ogni donna, uomo e bambino merita.

In che modo affronti questa questione attraverso il ruolo che svolgi?

Quali attività e quali progetti hai potuto promuovere, organizzare o creare in linea con questa idea di contrasto e lotta alla violenza di genere?

Anna Silvia Angelini: “Subito dopo la sua fondazione nel 2013, AIDE Nettuno associazione indipendente donne europee ha rapidamente esteso la sua rete di collaborazioni a livello nazionale, instaurando importanti partnership con istituzioni in diverse regioni italiane. L'associazione ha promosso campagne di sensibilizzazione, organizzato convegni e seminari, e collaborato alla realizzazione di progetti pilota per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere.

Con una visione ampia e inclusiva, AIDE Nettuno ha fin da subito inteso la violenza di genere come un problema nazionale. Pertanto, ha rapidamente esteso le sue attività oltre i confini locali, collaborando con istituzioni e associazioni in tutto il Paese. Attraverso un'intensa attività di networking, l'associazione ha creato una rete di contatti a livello nazionale, facilitando lo scambio di buone pratiche e la condivisione di esperienze.

Il Centro d'Ascolto "Uscita di Sicurezza" ha svolto un ruolo fondamentale nel fornire supporto alle donne vittime di violenza. Tuttavia, è necessario un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile per superare le barriere ancora esistenti e garantire un futuro libero dalla violenza.

Per il futuro, il centro si prefigge di:

* Ampliare l'offerta dei servizi, in particolare quelli di supporto psicologico.

* Rafforzare le collaborazioni con le istituzioni e le altre realtà del territorio.

* Aumentare la visibilità del centro e sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della violenza di genere”.

 

Daniela Furlani: “Nella mia organizzazione poniamo grande attenzione al tema della sostenibilità sociale e della parità di genere.

Quest’anno abbiamo intrapreso un percorso che ci ha portato a ottenere la certificazione di genere per tre società della nostra rete, tra cui anche quella di cui sono presidente.

Per noi, la certificazione rappresenta un vero e proprio cammino, un processo che ha richiesto la creazione di comitati guida e di cinque sottogruppi trasversali, ognuno dedicato a un tema specifico: Welfare HR ed empowerment femminile, Territorio, Comunicazione, Compliance e codici etici, Sicurezza e Antiviolenza.

In particolare, sul contrasto alla violenza di genere stiamo lavorando all’elaborazione di un protocollo di sicurezza per i luoghi di lavoro. Vogliamo organizzare percorsi formativi per aiutare il nostro personale a riconoscere cosa costituisce una molestia o una violenza, come prevenirla e affrontarla. Inoltre, stiamo introducendo una formazione mirata sul linguaggio inclusivo, per promuovere un ambiente più equo e rispettoso”

 

2) La promozione dell'empowerment femminile, soprattutto attraverso il superamento della violenza economica, può contribuire a spezzare il ciclo della violenza di genere.

Quali politiche o azioni ritieni prioritarie in questo ambito?

Ritieni che ci sia la giusta consapevolezza, soprattutto delle nuove generazioni, sull’importanza che l’autonomia economica e finanziaria gioca nella lotta alla violenza di genere?

Anna Silvia Angelini: “La violenza economica, nello specifico, ha carattere trasversale: è indipendente dalle fasce di reddito, riguarda un’età compresa principalmente tra i 40 e i 60 anni, e affonda le radici nella relazione che le persone instaurano con il denaro sin dall’infanzia.

Questo tipo di violenza può essere considerato un modello di controllo che impedisce alla donna di guadagnare e di gestire in autonomia le risorse della famiglia e si concretizza in comportamenti dell’uomo volti a depotenziare la propria partner, appropriandosi del suo reddito o facendo in modo che non lavori. Queste condotte rendono la donna dipendente dal punto di vista economico e finanziario, privandola della possibilità di autodeterminarsi e della libertà di allontanarsi da eventuali situazioni di pericolo – un fenomeno che si verifica anche a livelli socioeconomici elevati.

Ancora non c'è la giusta consapevolezza nelle nuove generazioni, sull’importanza che l’autonomia economica e finanziaria gioca nella lotta alla violenza

Ecco perché è importante partire dalla prevenzione in ogni ambito partendo dalla famiglia insegnando la cultura del rispetto”.

 

Daniela Furlani: “Purtroppo, i dati parlano chiaro: il 37% delle donne italiane non possiede un conto corrente bancario a proprio nome. È importante sottolineare che questa percentuale non riguarda solo donne senza lavoro, ma include anche quelle che lavorano e che, nonostante ciò, non depositano il proprio stipendio su un conto personale.

Per me, i dati sono fondamentali perché offrono una fotografia realistica della situazione e dimostrano che non si tratta di episodi isolati, ma di un sistema che non funziona. E quando un sistema non funziona, limita inevitabilmente la qualità della vita.

Quando parliamo di equità di genere, infatti, stiamo parlando anche di libertà: la libertà di scegliere

un lavoro che piaccia, di avere un’autonomia finanziaria e di non dover sottostare a relazioni

tossiche.

 

La formazione rappresenta un elemento cruciale per superare questo divario. L’accesso a percorsi formativi, infatti, non solo consente di accrescere le proprie competenze, ma permette anche di immaginare e concretizzare l’idea di poterle sviluppare, dando vita a nuove opportunità e a un futuro più equo.

E’ necessario, quindi, investire in percorsi di formazione che prevedano una quota di accesso specifico alle donne per favorirne l’entrata nel mondo del lavoro in ambiti e settori oggi ancora fortemente sottorappresentati.

Un esempio virtuoso è un percorso di formazione organizzato in post pandemia grazie ad un fondo di solidarietà destinato al mondo dello spettacolo sostenuto da donazioni private. Sono stati organizzati due programmi di formazione, un corso di Direzione di Produzione e un corso di Rigging, che richiedeva la partecipazione paritaria di uomini e donne.

Sono arrivate 200 domande e i posti erano 60. L’esito del corso è stata la possibilità per alcune donne di diventare professioniste in una professione tipicamente maschile. sono stati organizzati due programmi di formazione, un corso di Direzione di Produzione e un corso di Rigging, che richiedeva la partecipazione paritaria di uomini e donne. Sono arrivate 200 domande e i posti erano 60. L’esito del corso è stata la possibilità per alcune donne di diventare professioniste in una professione tipicamente maschile”.

 

3) L'arte, la cultura e la creatività sono strumenti potenti per dare voce alle donne e valorizzarne il talento.

Quali strategie ritieni potrebbero essere messe in atto per garantire che questi settori diventino spazi di emancipazione economica e sociale per le donne?

In che modo il lavoro creativo e culturale può aiutare le donne a riconquistare autonomia economica e consapevolezza del proprio valore, specialmente in contesti di marginalizzazione o abuso?

Puoi condividere esempi concreti di progetti o iniziative artistiche e culturali che hanno avuto un impatto tangibile sul superamento della violenza economica e sulla promozione dell'empowerment femminile?

 

Anna Silvia Angelini: “Attraverso forme di inclusione e espressione culturale è importante diffondere il messaggio contro la violenza di genere con la creatività che può essere fonte di riflessione e ispirazione.

È fondamentale creare progetti dove le donne siano protagoniste, aiutandole con percorsi personalizzati a ritrovare l'autostima in sé stesse e inserirle nel mondo del lavoro.

In un mondo in continua evoluzione, l'empowerment femminile si fa strada come un importante catalizzatore di progresso e sviluppo.

È un concetto strettamente legato al "gender gap", o divario di genere, un fenomeno che riflette le disparità esistenti tra uomini e donne in diversi ambiti socio-economici. Questo divario si manifesta in aspetti come le differenze salariali, l'accesso all'istruzione, la rappresentanza politica, l'accesso ai servizi sanitari e la distribuzione del lavoro domestico. Le donne, purtroppo, spesso riscontrano svantaggi rispetto agli uomini in questi ambiti, limitando così le loro opportunità e potenziale. Secondo i dati del Global Gender Gap 2022 pubblicati dal World Economic Forum, ci vorranno 132 anni per raggiungere la piena parità.

In molti paesi, come in Africa sub-sahariana, il gender gap è particolarmente marcato. L'accesso all'istruzione è uno dei settori più colpiti, con molte ragazze che non frequentano la scuola a causa di gravidanze precoci o matrimoni forzati. Durante la pandemia in particolare, il divario si è ulteriormente acuito, con un aumento del lavoro domestico e di cura a carico delle ragazze, rendendo ancora più difficile per loro partecipare all'istruzione.

L'empowerment femminile si propone quindi di affrontare e ridurre questi divari: attraverso l'empowerment, le donne sono incoraggiate e supportate a rivendicare i loro diritti, a sfruttare appieno il loro potenziale e a partecipare attivamente a tutte le sfere della società.

In numerose regioni globali, l'empowerment delle donne rappresenta un obiettivo ancora in attesa di realizzazione. Nonostante la lotta delle donne per consolidare la propria autonomia e indipendenza sia incessante, l'ombra della disparità di genere persiste, creando barriere in svariati ambiti.

La promozione dell’empowerment femminile si concentra su una serie di aree chiave:

* Educazione, uno degli strumenti più potenti per promuovere l'empowerment delle donne. È fondamentale garantire che le donne abbiano accesso alle competenze e alle conoscenze che le consentano di esercitare un controllo completo sulla propria vita. L'educazione non solo migliora la capacità di leggere e scrivere, ma può anche fornire alle donne competenze utili per la vita quotidiana e per il loro percorso professionale. Ogni opportunità educativa può dunque aprire una porta verso l'autonomia e l'indipendenza.

* Autonomia economica e finanziaria, fondamentali per la loro indipendenza. Le donne devono avere le stesse opportunità degli uomini per accedere a risorse economiche, come l'istruzione, il lavoro e le opportunità finanziarie. Questo include il diritto di possedere ed ereditare proprietà, di essere pagate in modo equo per il lavoro svolto e di avere accesso a servizi finanziari. L'autonomia economica aiuta anche le donne a sfuggire dalla povertà, dalla violenza e dall'esclusione sociale.

* Salute e benessere: l'empowerment femminile richiede che le donne abbiano pieno controllo sulla propria salute e benessere, sia fisica che mentale. Ciò include l'accesso a servizi sanitari, la capacità di prendere decisioni informate sul proprio corpo e la propria salute sessuale e riproduttiva, nonché l'accesso a risorse e supporto per la cura della propria salute mentale.

* Partecipazione e leadership. Per realizzare pienamente l'empowerment femminile, le donne devono essere in grado di partecipare pienamente alla vita politica, economica e sociale del loro paese. Questo significa avere un posto al tavolo quando si prendono decisioni che influenzano le loro vite, dalle comunità locali ai governi nazionali e internazionali.

 

Daniela Furlani: “Investire in arte, cultura e creatività significa investire nel futuro delle donne e della società nel suo complesso. Attraverso strategie mirate e iniziative innovative, è possibile trasformare questi settori in veri motori di emancipazione economica e sociale. Le esperienze di empowerment femminile dimostrano che l’arte non è solo un’espressione estetica, ma un potente strumento di cambiamento, capace di abbattere barriere, dare forza e costruire un mondo più equo.

Diventa essenziale promuovere partnership tra pubblico e privato, coinvolgendo istituzioni, aziende e organizzazioni non governative per sostenere le donne nei settori artistici e culturali. Questo approccio sinergico può dare vita a iniziative strutturate e durature che abbiano un reale impatto sociale ed economico.

Spesso le donne appaiono invisibili, quindi è altrettanto importante valorizzare le narrazioni autentiche attraverso l’arte, incoraggiando produzioni che raccontino esperienze femminili e sensibilizzino il pubblico su temi come la parità di genere e il contrasto alla violenza.

Con Doc Creativity organizziamo dal 2020 Booming Contemporary Art, una fiera d’arte contemporanea indipendente che ha deciso di scardinare il concetto di “emergente”, non relegandolo più al mero dato anagrafico, ma collegandolo al significato letterale dell’essere in procinto di emergere e della necessità di far emergere. In questo senso si collega anche al duplice significato della parola “emergenza”. Emergenza come urgenza, ma anche come momento di criticità foriero di cambiamenti. Tra le diverse sezioni c’è quella dedicata ai Femminismi, perché le donne sono come in qualsiasi altro ambito tuttora sottorappresentate e penalizzate anche nel sistema e nel mercato dell’arte. Parteciperanno figure femminili dirompenti nel panorama artistico nazionale e internazionale, oltre che artist* che hanno fatto della tematica femminile e femminista il cardine della loro ricerca, decostruendone e ricostruendone le fondamenta culturali e storiche e analizzandone i punti sensibili.

L’approccio sarà come per tutte le edizioni al plurale, nel cogliere la diversità dei punti di vista, dei

vissuti e delle approssimazioni a una materia complessa, stratificata, tuttora ribollente di proiezioni,

violenze di genere e contraddizioni.

Riteniamo che l’arte, così come le altre discipline creative e culturali, sia un mezzo potente di comunicazione. Il punto di vista delle donne ha il potenziale per generare un forte cambiamento culturale, offrendo una narrazione della realtà più completa, vera e inclusiva”.

VIOLENZA CONTRO LE DONNE: UNA LETTURA DEL FENOMENO

“La violenza contro le donne non è un fenomeno nuovo, né lo sono le sue conseguenze per la salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne. La novità è il crescente riconoscimento che gli atti di violenza contro le donne non siano eventi isolati, ma piuttosto formano un modello di comportamento che viola i diritti delle donne e delle ragazze, limita la loro partecipazione alla società e danneggia la loro salute e il loro benessere. Se studiato sistematicamente, [..] , diventa chiaro che la violenza contro le donne è un problema di salute pubblica globale che colpisce circa un terzo delle donne a livello globale”[1].

Il rapporto pubblicato dall'OMS, in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, sottolinea come la violenza comporta un’esperienza traumatica vissuta da oltre il 35% delle donne in tutto il mondo: la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3.

“La punta dell’iceberg della violenza è rappresentata dagli omicidi, che sono stabili nel tempo per le donne. La diminuzione generalizzata degli omicidi volontari consumati ha riguardato in misura decisamente maggiore il genere maschile (Grafico 1), che ha beneficiato negli ultimi venti anni della forte contrazione dei livelli di vittimizzazione e degli omicidi da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, le cui vittime sono quasi esclusivamente uomini”[2].

 

Grafico 1: Vittime di omicidio volontario per genere. Anni 1992-2020 (valori per 100.000 abitanti)

 

“Gli omicidi di donne e ragazze per motivi di genere (femminicidio/femminicidio) sono la manifestazione più estrema e brutale di violenza contro le donne e colpiscono tutte le regioni e i paesi del mondo”[3].

La Figura 1 colloca l'oggetto del quadro statistico (uccisione di donne e ragazze per motivi di genere - femminicidio/femminicidio-) nel contesto più ampio delle uccisioni che hanno come bersaglio le donne.

Figura 1

Studi nazionali e internazionali sugli omicidi di donne e ragazze correlati al genere (femminicidio/ femminicidio), registrano una serie di caratteristiche connesse alla relazione tra autore e vittima e in relazione al modus operandi o al contesto dell'omicidio intenzionale (vedere la Figura 2). Dalla registrazione e dalla raccolta di queste caratteristiche, è possibile identificare i tre blocchi di dati per il conteggio degli omicidi correlati al genere sopra elencati e produrre dati statistici pertinenti.

Figura 2[4]

In Italia i dati Istat mostrano che “il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subito violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila)”[5].

L’aggiornamento dei dati, secondo l’Istat, non presenta un miglioramento, anzi: “nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell'intera vita (soprattutto le più giovani di 15-24 anni, 21,2%) e il 2,4% degli uomini di 15-70 anni. In particolare si tratta di sguardi offensivi, offese, proposte indecenti, fino ad atti più gravi come la molestia fisica.

Limitatamente agli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, le quote si fermano al 4,2% per le donne e l’1% per gli uomini.

Come mostra la Figura 3, le molestie vengono subite anche al di fuori del mondo del lavoro: nello stesso periodo di riferimento, ne sono state vittime il 6,4% delle donne dai 14 ai 70 anni e il 2,7% gli uomini della stessa età. Poco più della metà di queste molestie avviene tramite l’uso della tecnologia (messaggi email, chat o social media)”[6].

Come descritto nella Figura 4, una chiave di lettura in termini di violenza di genere è fornita dall’esame della relazione tra gli attori dell’omicidio.

Figura 4

“La maggior parte di questa violenza è violenza del partner intimo. [Come si può evincere dalla Figura 5, infatti,] in tutto il mondo, quasi un terzo (30%) di tutte le donne che hanno avuto una relazione hanno subito violenza fisica e/o sessuale dal loro partner intimo. In alcune regioni, il 38% delle donne ha subito violenza del partner intimo. A livello mondiale, fino al 38% degli omicidi di donne vengono commessi dai partner”[7].

Figura 5

Anche i dati forniti dall’Istat dimostrano come “le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex”[8].

I numeri, inoltre, ci dicono come “ha subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner.

La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione”[9].

Il Grafico 2 può darci un’esaustiva e chiara visione della tipologia di violenza fisica e sessuale subita da una donna, italiana o straniera, ad opera di un uomo, sia lui partner, ex o attuale, o non partner.

Grafico 2: Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito nel corso della vita violenza fisica o sessuale da un uomo per tipo di autore, tipo di violenza subita e cittadinanza. Anno 2014 (per 100 donne con le stesse caratteristiche)

La ricerca realizzata in Italia sul tema della tipologia delle forme di violenza subite dalle donne rileva come: “oltre alla violenza fisica o sessuale le donne con un partner subiscono anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione, nonché di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia.

Nel 2014 sono il 26,4% le donne che hanno subito volenza psicologica od economica dal partner attuale e il 46,1%  da parte di un ex partner”[10], come dimostrato dal Grafico 3.

Grafico 3: Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito sempre o spesso violenza psicologica dal partner attuale, per tipologia di violenza psicologica.  Anno 2006 e 2014 (per 100 donne con il partner attuale)

Un altro tema interessante da prendere in esame quando si parla di violenza di genere, è quello delle molestie a sfondo sessuale subite in ambito lavorativo dalle donne.

Con la Legge n.4 del 15 gennaio 2021 l’Italia ha ratificato la Convenzione n.190 dell’International Labour Organization (ILO) sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro[11]. La Direttiva UE (2006/54/CE) (10) definisce le molestie sessuali come “qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, in particolare quando crea un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (articolo 2, paragrafo 1, lettera d). La stessa Direttiva richiede il monitoraggio del fenomeno della violenza, con un'attenzione specifica alla vita lavorativa.

“In ottemperanza alla citata Legge 4/2021, l’Istat ha raccolto i dati inerenti le molestie sul lavoro con

procedura armonizzata con Eurostat. [Come descritto nel grafico 4,] sono circa 2 milioni e 322mila le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una forma di molestia sul lavoro nel corso della vita, di cui l’81,6% donne (pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni). A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Le donne tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro e/o avere un avanzamento di carriera costituiscono circa il 15% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni (circa 2 milioni 68mila donne), mentre gli uomini che hanno subito molestie sessuali nel mondo del lavoro (ad eccezione dei ricatti) sono il 2,4% (circa 427mila). Negli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, il 4,2% delle donne di 15-70 e l’1% degli uomini della stessa età ha subito molestie sul lavoro; negli ultimi dodici mesi i tassi sono pari rispettivamente a 2,1% e 0,5%”[12]

Grafico 4

“Sono vittime di molestie sul lavoro in particolare i giovani (sia donne sia uomini) entrati da poco nel mercato del lavoro: 12% tra i 15-24enni e 10,8% dei 25-34enni. Le molestie sul lavoro colpiscono prevalentemente le giovani donne, 21,2% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 4,8% dei coetanei uomini. Di poco inferiore è l’incidenza percentuale delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni (18,9%, rispetto al 3,7% degli uomini). [..] Confrontando i dati con riferimento al genere nei diversi periodi considerati, si osserva che, nel corso della vita, le donne sono state vittime di molestie 4,5 volte in più rispetto agli uomini”[13].

Grafico 5

PREVENZIONE E FORMAZIONE DI GENERE: EMPOWERMENT ED INDIPENDENZA ECONOMICA

“Secondo l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, quasi una donna su quattro (22%) subisce violenza fisica e / o sessuale in una relazione con un uomo. Le sue cause sono spesso correlate alla povertà, alla dipendenza economica e alla discriminazione di genere. La mancanza di indipendenza economica è una delle principali sfide che le donne devono affrontare quando cercano di lasciare il loro partner violento. I centri antiviolenza in tutta Europa riconoscono che le donne spesso rimangono in rapporti violenti a causa della loro dipendenza finanziaria dal partner violento. Questo problema è accompagnato dal fatto che le donne sono notevolmente sottorappresentate nel mercato del lavoro e nei ruoli manageriali, con il tasso di occupazione femminile complessivo ancora inferiore a quello degli uomini”[14].

C’è una condizione comune che spesso impedisce alle donne di uscire da una situazione di violenza: l’essere economicamente dipendenti dal partner e, anche per questo, non riuscire a interrompere la relazione abusiva e violenta.

Secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) “le donne che hanno subito violenza sono maggiormente esposte a difficoltà economiche: il 39% delle donne che hanno avuto in passato una relazione violenza dichiarano di avere difficoltà economiche, contro il 26% delle donne che non hanno avuto partner violenti”[15].

“Le disuguaglianze strutturali affrontate dalle donne a ogni livello contribuiscono al manifestarsi di tali problematiche: ad esempio la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro formale, il persistente divario salariale tra donne e uomini, mancanza di servizi all’infanzia di qualità e a basso prezzo. Questo si traduce in pensioni più basse per le donne e forte dipendenza dall’assistenza pubblica e ad altre misure di welfare. Le donne che subiscono violenza, specialmente dopo la separazione, sono soggette a povertà per diverse ragioni. Nella maggior parte dei casi sono senza mezzi finanziari, senza un posto in cui vivere e l’accesso al mercato del lavoro è molto difficile per loro”[16].

Nonostante però le donne esposte alla violenza domestica possano appartenere ad ogni contesto sociale, dai dati emerge che le caratteristiche sociali, etniche ed economiche influiscano sulla percentuale di possibilità che questo avvenga. In modo più specifico, donne con status economici bassi tendono a farne esperienza più frequentemente e più gravemente avendo poche risorse e scarso accesso alle misure di protezione. Barriere strutturali come la povertà, basso livello educativo, scarso accesso alle informazioni rendono più difficile l’uscita dalla violenza, in quanto queste barriere limitano la conoscenza delle donne sulle risorse disponibili e le loro possibilità di indipendenza economica. Le questioni legate all’indipendenza economica come una via d’uscita da situazioni violente sono cruciali per questo gruppo di donne”[17].

Per tutti i motivi descritti l’’indipendenza economica è, quindi, ampiamente riconosciuta come un prerequisito che permette a entrambi, donne e uomini, di esercitare controllo sulle proprie vite e fare scelte informate.

Il paragrafo 26 della Dichiarazione di Pechino adottata durante la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (1995) fa menzione a un chiaro impegno degli Stati a: “promuovere l’indipendenza economica delle donne, in particolare attraverso l’accesso all’occupazione, ed eliminare il perdurante e crescente peso della povertà sulle donne, affrontando le cause strutturali della povertà per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche che assicurino a tutte le donne [..] parità di accesso, in quanto protagoniste”[18]

Secondo i principali studi al riguardo “l’indipendenza economica si riferisce a una condizione in cui donne e uomini hanno accesso a una vasta gamma di opportunità e risorse economiche – come lavoro, servizi, reddito disponibile sufficiente – in modo che possano esercitare controllo sulle proprie vite, rispondere ai propri bisogni e a quelli delle persone a loro carico e prendere decisioni consapevoli. Il concetto di indipendenza economica delle donne riconosce le donne come attrici economiche che contribuiscono all’attività economica e dovrebbero poterne beneficiare in condizioni di uguaglianza rispetto agli uomini, e riconosce che l’indipendenza economica può avere un ruolo importante nel rafforzamento dello status delle donne nella società e nella famiglia. Generalmente, l’occupazione viene riconosciuta come la via principale per essere economicamente indipendente e sfuggire alla povertà. Questo è anche più vero nel caso dell’indipendenza economica, che è strettamente connessa con il riconoscimento e la valorizzazione del lavoro delle donne. Questo significa, in particolare, che la qualità dell’occupazione e le condizioni lavorative sono particolarmente rilevanti: scarse condizioni di lavoro (per esempio salario basso, lavoro precario, part-time forzato, interruzione della carriera lavorativa, etc.) e la difficoltà nel rimanere e crescere nel mercato del lavoro possono infatti comportare redditi bassi e discontinui, scarse opportunità di formazione e, in molti Paesi, scarso accesso a misure di protezione sociale e quindi minori diritti alla pensione, fino a una maggiore esposizione al rischio povertà”[19].

Per prevenire, quindi, qualsiasi forma di abuso, occorre affrontare i fattori sociali e culturali associati alla violenza femminile. In questo senso, comprendere le disuguaglianze tra uomini e donne in ambito economico è importante per combattere la violenza sulle donne.

Se si intende, perciò, combattere le forme di discriminazioni di genere presenti a livello sociale, individuate come possibili cause della creazione di contesti e situazioni in cui possono generarsi contesti in cui le donne divengono vittime di violenza, occorre realizzare progetti per la creazione ed il supporto di attività di empowerment economico femminile, secondo l’idea per la quale “la variazione nella prevalenza della violenza osservata all'interno e tra comunità, paesi e regioni, evidenzia che la violenza non è inevitabile e che può essere prevenuta”[20].

Per i centri antiviolenza in Italia concepiscono il concetto di empowerment come quel “processo di consapevolezza, sviluppo dell’autonomia e rafforzamento dell’autostima e del potere della donna sulle sue risorse e sulle decisioni che hanno impatto sulla sua vita” . Allo stesso tempo, rappresenta “un processo attraverso il quale le donne rafforzano le loro capacità, il loro ruolo, autonomia e autostima, come persone e come gruppo sociale, per promuovere i cambiamenti e trasformare i rapporti di potere” [21].

Nonostante vi siano numerose proposte e azioni rivolte alla promuovere l'indipendenza economica delle donne, l'empowerment economico femminile è ancora un'area poco sviluppata.

Per questo motivo risulta fondamentale creare progettualità tese a incentivare l’empowerment femminile. “Spesso i programmi per l'inserimento lavorativo o i programmi di formazione spesso rischiano di rafforzare le uguaglianze di genere in ambito economico, in quanto i settori ad alta presenza femminile e caratterizzati da basse retribuzioni sono spesso l'unica opportunità di lavoro di facile acceso per le donne che vogliono sottrarsi a relazioni violente. Sono ancora poco sviluppate le conoscenze su come implementare programmi di empowerment economico sensibili alle questioni di genere in grado di contribuire a eliminare le disuguaglianze in tutte gli ambiti della vita”[22].

L’empowerment è un processo dinamico che mira a uno sforzo personale che sociale:  “per essere un processo veramente trasformativo, l'empowerment dovrebbe avere sia una dimensione individuale, sia una dimensione collettiva e sociale.

A livello individuale, i cambiamenti mirano al raggiungimento di livelli più elevati di fiducia in se stesse, di autostima e di potere di negoziazione per i propri interessi.

Dal punto di vista sociale e di gruppo, un processo di empowerment implica il rafforzamento del legame tra donne, nel riconoscimento e supporto reciproci per affrontare problemi comuni e avanzare nella difesa di interessi comuni. Nella dimensione collettiva, vengono generati cambiamenti sociali, politici ed economici, volti a sradicare le discriminazioni di genere in tutti i settori delle relazioni sociali e della struttura sociale.

L’empowerment delle donne è perciò un costante esercizio di libertà. [..] L'empowerment è un processo attraverso il quale le donne trovano il proprio modo di relazionarsi alla pari con gli altri, comprendono i loro diritti e la necessità di trasformare la loro condizione. È un processo lungo, non necessariamente facile e può presuppone un sostegno esterno per costruire la capacità di pensare in modo libero e indipendente. L'empowerment implica anche la sensibilizzazione al diritto di avere diritti e la conquista della fiducia di poter raggiungere i propri obiettivi. Attraverso il processo di empowerment le donne possono prendere decisioni e avere controllo sul proprio corpo, avendo consapevolezza che all’origine della violenza vi è la necessità di esprimere potere e controllo su un’altra persona.

L'empowerment non è concepito come un obiettivo finale, ma come un processo di trasformazione multidimensionale”[23].

Promuovere l’empowerment economica per le donne implica, in questo senso, saper affrontare sfide complesse che richiedono una varietà di competenze che spesso vanno oltre a quelle delle operatrici dei Centri antiviolenza. La collaborazione con altre realtà, sia pubbliche sia private, è pertanto necessaria per massimizzare l'impatto degli interventi.

“Uno dei principali ostacoli che spesso le organizzazioni femministe e i Centri antiviolenza incontrano è il loro isolamento. Lavorare per l'empowerment delle donne che hanno subito violenza richiede uno sforzo che i Centri non possono affrontare da soli. Un approccio olistico al sostegno delle donne che hanno subito violenza significa istituire meccanismi di coordinamento con altre realtà e istituzioni per implementano attività complementari a quelle dei Centri, permettendo di ottimizzare le risorse umane e finanziarie a disposizione. [..] In secondo luogo, i Centri antiviolenza spesso devono far fronte alla scarsità di risorse che mettono a rischio la sostenibilità dei loro interventi”[24]

 

IL TALENTO COME LEVA PER L’EMPOWERMENT FEMMINILE

Secondo l’ultimo rapporto sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali relativi al 2021 pubblicato dall’Istat, nonostante in Italia la quota di donne laureate superi quella maschile (23, 1% contro il 16,8%), l’iniziale vantaggio in termini di istruzione più elevata non si traduce poi nella conquista di posti di lavoro. Il tasso di occupazione femminile è, infatti, inferiore a quello maschile (55,7% contro il 75,8%)[25]. Questo dimostrato anche dal fatto che, come rilevato dalla pubblicazione annuale del  report “Global Gender Gap Index” del World Economic Forum (WEF), che misura in 146 Paesi il divario di genere in termini di partecipazione economica e politica, salute e livello di istruzione, nella graduatoria globale l’Italia risulta al 79esimo posto[26].

Nonostante l’attuale criticità, però, ci sono segnali che lasciano intravedere che la vittoria sul gender gap, è un obiettivo possibile, per la creazione di una società più giusta ed inclusiva, che veda finalmente una partecipazione più attiva, consapevole e forte delle donne nel mondo del lavoro.

Questa fondamentale sfida potrebbe vinta solo valorizzando il talento di ogni donna, inteso non più come qualità o dote eccezionale, bensì come valore potenziale, troppo spesso inespresso, da riconoscere e coltivare.

La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina. Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “l’eccellenza di chi si segnala per le sue abilità in un determinato ambito”[27].

Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale. La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman, può aiutare a chiarire cosa si intende quando si utilizzano i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il potenziale umano, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ciascuno, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale. Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.

Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare una donna alla piena realizzazione di se stessa attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuna è portatrice. Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Talento che è come un’energia che ciascuna ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione femminile. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità.

Ecco perché il talento può essere considerato come leva per l’empowerment femminile.

E se è vero che tutti hanno un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo. Il talento, infatti, è come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni si può, dunque, trarre l’insegnamento per cui ciascuna è davanti alla scelta di liberare l’opera d’arte che custodisce dentro. Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello.

La questione più importante, quindi, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuna, è comprendere come sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuna.

A questo scopo e per promuovere un empowermet femminile, occorre perciò valorizzare il protagonismo delle donne nella nostra società a partire dai temi della formazione e della valorizzazione del loro ruolo nel mondo del lavoro.

Abbiamo, infatti , descritto come, uno dei modi primari e indispensabili per combattere la violenza di genere, “sia quello di permettere a tutte le donne l’emancipazione economica, l’autodeterminazione nel mondo del lavoro affinché ogni donna possa, al primo segnale di comportamento “spia” di violenza sia psicologica che fisica, smarcarsi immediatamente dall’uomo compagno o marito, nella consapevolezza e nella certezza di non dovere dipendere economicamente dall’egemonia di quell’uomo che esprime segnali di violenza nei suoi confronti. Il primo vero modo di prevenire la violenza è non permettere alle donne la violenza economica, cioè non permettere alle donne di dipendere economicamente dall’uomo, ma concedere ad ogni donna inclusione nel mondo del lavoro che le conferirà l’autonomia finanziaria necessaria”[28].

La ricerca e l’espressione del talento delle donne, attraverso l’attivazione di percorsi di formazione e di professionalizzazione, diventano, quindi, leve fondamentali per il raggiungimento di un empowermet ed un benessere femminile , tali da poter prevenire qualsiasi forma di violenza di genere.

 

CULTURA E CREATIVITA’ PER LA GENERAZIONE DI BENESSERE FEMMILE

L'eliminazione della violenza contro le donne è un impegno fondamentale dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Gli Stati membri si sono impegnati a fare del mondo un luogo "in cui ogni donna e ragazza goda di piena uguaglianza di genere e tutte le barriere legali, sociali ed economiche alla loro emancipazione siano state rimosse"[29]. L'Agenda 2030 ha rilevato che “il raggiungimento del pieno potenziale umano e dello sviluppo sostenibile non è possibile se a metà dell’umanità continuano a essere negati i suoi pieni diritti umani e le sue opportunità”[30].

“Come affermato nella Raccomandazione generale n. 35 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne[31], la violenza di genere è [infatti] uno dei mezzi sociali, politici ed economici fondamentali attraverso i quali vengono perpetuati la posizione subordinata delle donne rispetto agli uomini e i loro ruoli stereotipati. Rimane un ostacolo critico al raggiungimento di una sostanziale uguaglianza tra donne e uomini, nonchè al godimento da parte delle donne dei diritti umani e delle libertà fondamentali”[32]

E se, come descritto, per prevenire la violenza di genere occorre garantire percorsi d’inclusione nel mondo del lavoro alle donne, in modo tale che esse abbiano un’autonomia finanziaria, e la possibilità di attivare processi di espressione delle vocazioni, delle potenzialità, nonché del proprio talento, il lavoro artistico, culturale e creativo può rappresentare una leva essenziale per raggiungere questo scopo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, attraverso uno studio rivoluzionario pubblicato a fine 2019, ha dimostrato l’efficacia delle attività culturali e creative come fattore di promozione del benessere individuale (dalla salute fisica alla soddisfazione per la vita), nonché come risposta ai bisogni specifici di salute, benessere, inclusione ed empowerment da parte di segmenti di popolazione[33].

E’ a partire da queste considerazioni che diviene opportuno, quindi, per sostenere l’emancipazione economica delle donne, nel tentativo di aumentare il loro empowerment sociale ed economico e con l’obiettivo finale di farle diventare autonome, autosufficienti ed in grado di vivere una vita in cui non debbano essere sottoposte a forme di violenza da parte del partner intimo, promuovere la creazione di un percorso formativo teso a supportare la generazione di attività professionali, culturali e creative Made in Italy.

Inoltre, la creatività è, per sua natura, generativa e – quindi – femminile.

In natura, infatti, tutto ciò che è generativo è femminile (si potrebbe dire femminino) non tanto nel senso di sesso ma di sensibilità: la Terra è madre in quasi tutte le culture del mondo, in molte lingue ‘mare’ ha una declinazione femminile, molte divinità antiche sono femminili, incluse quelle della caccia e della guerra, intese non come attività volte alla distruzione e alla supremazia, ma come forme di tutela della sopravvivenza della specie. Continuando a guardare alle nostre origini culturali, a tutte le longitudini si trovano storie e leggende di comunità femminili, fondate sulla parità e la sorellanza: dalle amazzoni, alle ‘streghe’ (per lo più donne che praticavano la botanica e l’erboristeria), ai conventi protocristiani di monache. Da tutto ciò si evince che – al di là dei vincoli educativi e culturali – tutte le donne sono, per loro stessa natura, creative (in quanto generative) e solidali (perché capaci di esercitare leadership orizzontali e condivise).

L’arte, la cultura e la creatività possono allora, in questo senso, diventare veri e propri strumenti per quella che rappresenta una delle lotte e delle battaglia più importanti e necessarie che devono essere affrontate a livello sociale nel mondo: quella alla violenza di genere.

“La violenza contro le donne è diffusa a livello globale. I risultati inviano un messaggio forte: la violenza contro le donne non è un piccolo problema che si verifica solo in alcune sacche della società, ma piuttosto un problema di salute pubblica globale di proporzioni epidemiche, che richiede un'azione urgente. È tempo che il mondo agisca: una vita libera dalla violenza è un diritto umano fondamentale, che ogni donna, uomo e bambino merita”[34].

 

Per completare l’analisi del tema dell’articolo ho intervistato ANNA SILVIA ANGELINI E DANIELA FURLANI:

 

Anna Silvia Angelini

Presidente A.I.D.E. Nettuno APS Associazione Indipendente Donne Europee che fonda nel 2013, scrittrice, ambasciatrice Accademia delle scienze umane, studiosa in criminologia, specialista in Violenza di genere e Procedure di Intervento nei casi di Violenza Domestica.
Protocollo d’intesa per il Codice rosa con la ASL Roma 6 dal 2017.
Nel 2019 crea una rete nazionale di 30 associazioni per la campagna antiviolenza “Una rosa per tutte”.
Nel 2019 esce il suo primo libro “La Violenza declinata” edito da Berton, presentato a marzo 2020 su RAI3 al TG “Buongiorno Regione”.
Nel 2021 il libro la “Violenza Declinata” viene premiato dalla Regione Lazio.
Nel 2022 esce il suo secondo libro
“Legate da un sottile filo rosso” sempre edito da Bertoni.
Scrive e collabora per testate giornalistiche online e cartacee.
Molto attiva nel sociale, dirige e fonda nel 2013 il centro d’ascolto Antiviolenza “Uscita di Sicurezza” di cui si occupa personalmente.
Direttore organizzativo, del centro antiviolenza “Linea Donna” a Roma, in collaborazione con Tutela Donne.
A marzo 2020, intervistata da RAI3, Buongiorno Regione, con un servizio dedicato al centro d’ascolto antiviolenza “Uscita di Sicurezza”.
Nel 2021 ospite a Porta a Porta RAI1.
Nel 2024 ospite ad “Agorà” RAI3.
Organizzatrice del Premio Istituzionale Donna D’autore presso Palazzo Montecitorio Sala della regina.
Pensiamo ad una Donna più protagonista sia nella famiglia che nella società.

L'associazione promuove azioni per la valorizzazione umana e culturale della persona, anche attraverso la realizzazione di politiche sociali a favore della famiglia e delle donne ed azioni tali da favorire le Pari Opportunità. Pensiamo alle iniziative tese a promuovere l’impresa al femminile, pensiamo alle grandi capacità artistico-artigianali proprie del nostro territorio e tipicamente femminili che hanno bisogno di fare un salto di qualità. Incontri a sostegno della salute e della prevenzione.

Anna Silvia Angelini ha ricevuto il riconoscimento di numerosi premi;

  • nel 2015 Premio Internazionale dall’Accademia delle Scienze Umane.
  • 2016 Diploma di merito Accademia Costantina.
  • 2019 Premio della Critica “La voce dei Poeti” per il libro “La Violenza Declinata”

2020 Premio culturale internazionale Cartagine Campidoglio
Premio Colosseo D’oro 2021.
2021 Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione dall’accademia Cartagine.
2021 Premiata dalla Regione Lazio per il libro “La Violenza Declinata”
2022 “Scrittrice dell’anno”
2023 Premio “Donne che ce l’hanno fatta” Palazzo Valentini roma
2024 Premio Tridente D’oro.
2024 “Premio le stelle di Esse”
2024 Premio Athena D'oro

Daniela Furlani

Laureata in Economia e Commercio, è in Doc Servizi dal 2007.

Inizialmente assunta nella filiale di Verona, ne è anche stata responsabile fino al suo ingresso nel consiglio di amministrazione di Doc Servizi nel 2015.

Da allora ha l’incarico di responsabile dello Sviluppo del Territorio e del Coordinamento delle Filiali di Doc Servizi e della rete Doc, modello di piattaforma cooperativa in cui socie e le socie e imprese partecipano in modo collettivo con l’interesse comune di generare lavoro, valore e tutele.

Dal 2023 è Responsabile delle Politiche di parità di Genere per il network Doc.
Dal 2017 è la Presidente di Doc Creativity, la cooperativa della rete Doc che si occupa dei professionisti e delle professioniste dell’industria culturale e creativa.
Per Doc Creativity approfondisce tematiche e bisogni legati alle professioni creative in modo da far emergere il valore di ogni singolo professionista.

 

Doc Creativity

Doc Creativity si occupa della tutela, della formazione e dello sviluppo di chi lavora nella creatività: fotografia, audiovisivo, comunicazione, grafica, web design, graphic design, pittura, scultura, game design ed hand made.

La cooperativa fa parte di Rete Doc, il più grande network italiano delle professioni e delle professioniste dello spettacolo, la cultura, la creatività e il digitale.

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[1] Rapporto dell'OMS “Valutazione globale e regionale della violenza contro le donne: diffusione e conseguenze sulla salute degli abusi sessuali da parte di un partner intimo o da sconosciuti”, p. 1
https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[2] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/omicidi-di-donne
[3] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[4] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[5] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[6] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[7] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[8] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[9] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[10] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[11] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/01/26/21G00007/SG
[12] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[13] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[14] http://www.wegoproject.eu/
[15] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[16] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[17] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[18] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[19] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[20] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[21] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[22] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[23] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[24] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[25] https://www.istat.it/it/files/2022/10/Livelli-di-istruzione-e-ritorni-occupazionali-anno-2021.pdf
[26] https://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2023.pdf
[27] https://www.prometeocoaching.it/sviluppo-del-potenziale/potenzialita-capacita-di-apprezzare-bellezza-eccellenza/
[28] https://www.riskcompliance.it/news/women-empowerment-lo-stato-dell-arte-in-italia/
[29] Nazioni Unite, “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, par. 8 (A/RES/70/1)
[30] Nazioni Unite, “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, par. 20 (A/RES/70/1)
[31] Nazioni Unite, Raccomandazione generale n. 35 sulla violenza di genere contro le donne, aggiornamento della raccomandazione generale
[32] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[33] https://www.symbola.net/approfondimento/cultura-benessere-isc20/
[34] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1

 

 


Il Talento per l'inclusione e la valorizzazione delle differenze

“Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo” (Giulietta: atto II, scena II).
Non metto certo in dubbio il valore degli insegnamenti dei classici, ma William Shakespeare non poteva prevedere una delle più importanti regole del marketing che smentisce questa sua intramontabile citazione: nome e logo, infatti, sono due componenti essenziali.

Ed è stata con questa consapevolezza che scelsi il nome e il logo: PoT.

Un semplice nome che ora per me rappresenta un vero e proprio mantra.

P.o.T. è l’acronimo di People of Talent

La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina.
Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “complesso di doti intellettuali, capacità, bravura e ingegno”.
Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, a mio avviso, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale.
La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman e pubblicato nel 1996 da Adelphi, può aiutarmi a chiarire cosa intendo quando utilizzo i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il nostro potenziale, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ognuno di noi, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale.

Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.

Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare un individuo alla piena realizzazione di se stesso attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuno è portatore.
Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Immagino il talento come un’energia ciascuno ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità. Ecco perché il talento può essere considerato come il nostro tesoro più prezioso.

Ed ecco perché dovrebbe essere facile comprendere come, nel momento in cui mi sono trovata a dover decidere quale dovesse essere il nome ed il logo che avrei attribuito alla mia società che si sarebbe occupata di supporto all’imprenditorialità creativa Made in Italy, mi fu subito chiaro che la scelta migliore fosse P.o.T. ovvero People of Talent!

A questo punto occorre, però, che faccia un’importante precisazione. Se è vero che tutti noi abbiamo un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno di noi, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo.

Non è casuale che in inglese la parola PoT tradotta in italiano significhi vaso

Sono fermamente convinta, infatti, che il talento sia come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più
potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da
rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni ne possiamo, dunque, trarre l’insegnamento per cui sta solo a noi la scelta di liberare l’opera d’arte che custodiamo dentro.

Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello. Sono convinta, inoltre, che la questione più importante, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuno, sia comprendere come, solo grazie all’utilizzo di una intelligenza emotiva e di un approccio anch’esso creativo, sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuno. I migliori risultati in questo senso, infatti, possono arrivare solo se liberi, indipendenti dai condizionamenti e preparati per agire verso l’obiettivo definito.
Se per alcune persone questo approccio risulta più facile, per altri non è così naturale. Sono molteplici i fattori che possono ostacolare questo processo, a partire dall’ambiente che ci circonda, fisico o relazionale, dalla volontà di attivarci ed impegnarci, dal timore del giudizio di chi ci sta attorno. E questo vale sia nella vita quotidiana che in ambito professionale.
Uno dei nemici più pericolosi per il talento credo sia la mancanza di autostima. Una bassa autostima, infatti, blocca sul nascere qualsiasi possibilità di riuscita, poiché non porta a mettersi in gioco per paura di non farcela. Per essere persone di talento l’ingrediente principale è credere in noi stessi e nelle nostre capacità. Solo quando crediamo in noi la nostra vocazione ed il nostro potenziale sono nelle condizioni di poter emergere.

Sei tu la migliore versione di te stess*

Il talento è la potenza in atto, la realizzazione della nostra intelligenza embrionaria. E’ quel qualcosa di veramente unico che ognuno di noi sa fare e può fare. Ne consegue che non esiste un solo tipo di talento. E che ciascun talento diverso è ciò che ci distingue dagli altri. Ognuno ha una propria vocazione, che associato ad un processo creativo può portare alla piena espressione di sé stessi. Il talento, oltre ad essere unico, è anche non trasferibile. Ne deriva che è insensato paragonare i nostri talenti a quelli degli altri, poiché ciascuno custodisce un’essenza speciale che non può essere replicata. E credo che oggi, sempre di più anche in Italia, i parametri utilizzati nella ricerca del talento siano sempre più elementi quale: non convenzionale; non ordinario, unicità,
genuinità, passione, etc.
Desidero diffondere e promuovere l’idea per cui diversità è bellezza. E che, come diceva il mito Coco Chanel, “Per essere unici bisogna essere diversi”.

Credo di non essere sola a pormi questo obiettivo che potrebbe risultare utopico. Grazie a studi sociali ed economici da me condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale ho potuto constatare, infatti, come sia in corso una vera e propria rivoluzione, una nuova tendenza sembra intenzionata a premiare la creatività, a prescindere dagli ambiti in cui essa di esprime (la moda, il beauty, il design, lo spettacolo, il cibo, etc.). Perfino quelli che fino ad ora sono stati visti dal mondo dell’industria culturale e della moda, come difetti e limiti, al contrario possono rappresentare dei veri e propri punti di forza e dei plus, in chiave di bellezza e personalità. La diversità è cool.
Declinata in tutte le sue forme. Diversità rispetto ai canoni estetici che ci inchiodano a modelli stereotipati e irraggiungibili, facendoci sentire sempre inadeguati. Diversità come pluralità di facce, di colori, lingue, credo, culture. Diversità come emotività e intuizione, creatività e fantasia, cioè la complessità del fattore umano contro l’algoritmo delle macchine. Diversità come capacità di uscire dai binari e andare dove ci pare, anche se i cartelli indicano un’unica direzione, seguendo solo la voce del cuore. Un tema chiave questo, che non considera i difetti come caratteristiche da nascondere ma, al contrario, come punti di forza da mettere in primo piano.
Come Fondatrice desidero che la PoT faccia parte dei pionieri che in Italia credono e lottano per l’affermazione di questi valoro a livello sociale, culturale, occupazione ed economico.
E’ questa constatazione mi ha portato alla scelta dello slogan da me ideato con lo scopo di comunicare e rendere espliciti quanto più possibile i valori alla base della PoT: l’inclusione sociale e la valorizzazione delle differenze.

“As you want to be”

Il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta, infatti, l’evoluzione delle politiche per le pari
opportunità e della responsabilità sociale d’impresa.
Con il concetto di Social Innovation si intende:
1- un cambiamento nel modo di fare le cose, un’interruzione rispetto alle soluzioni generalmente utilizzate, innovativa perché più efficiente ed efficace;
2- un processo di innovazione e creatività capace di creare nuovi saperi, prodotti, strumenti, servizi e forme organizzative
3- un percorso di creazione di nuove collaborazioni e relazioni. La Social Innovation prevede l’utilizzo di forme di innovazione e creatività tipiche di una collettività e non di un singolo individuo. I suoi risultati sono, quindi, il frutto processi di condivisione, co-adaptation e dialogo;
4- una risposta costruttiva a problemi di ordine economico e sociale, capace di trasformare i principi teorici nella ricerca pratica della prosperità delle comunità, secondo una visione di sviluppo sostenibile e responsabile, con la finalità etica di creare e raggiungere le condizioni per un
benessere minimo universale ed una cittadinanza inclusiva.
In base a questa lista, che spero possa essere il più possibile esaustiva e chiara, per spiegare in breve un concetto così complesso, mi sento legittimata ad affermare, che la Social Innovation sia un elemento che contribuisce al miglioramento degli individui e delle comunità.
Come sostiene Andrea Notarnicola, all’interno del suo libro “Global Inclusion. Le aziende che cambiano: strategie per innovare e competere”, anche sul fronte della razionalità economica e sulle decisioni in ambito di business, la valorizzazione delle differenze riveste un ruolo centrale, poiché, il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta l’evoluzione delle politiche per le pari opportunità e della responsabilità sociale d’impresa. Orientarsi in base ai principi che si ispirano alla Social Innovation rappresenta, quindi, un modo concreto per dare risposta alle difficoltà in termini economici ed occupazionali, tentando di risolvere i problemi organizzativi ed aziendali.
E’ secondo questa logica che la traiettoria delle azioni quotidiane intraprese dalla PoT Agency sono dirette in base alle indicazioni della bussola della Social Innovation.
Per questo, la PoT Agency adotta un approccio innovativo ed inclusivo per lo sviluppo ed il miglioramento dell’imprenditorialità nel settore dell’industria creativa Made in Italy.

Diversity e Inclusion

Uno degli elementi di innovazione sociale è rappresentato in PoT Agency dalla promozione di una cultura della valorizzazione delle differenze, adottando una prospettiva inclusiva verso la diversità.
Lavorando all’interno del settore creativo, ho compreso che, per contribuire e per diffondere le teorie e le pratiche della valorizzazione della differenza e una cultura dell’inclusione, il contributo della PoT doveva avvenire partendo dalla revisione del concetto di bellezza che ha dominato la scena e il panorama dell’impresa creativa italiana e, in generale, la cultura dominante main-stream.
I canoni estetici che fino ad ora sono arrivati al pubblico attraverso i mass media, sono stati imposti quasi come regole. Ci hanno abituati ad avere una visione del mondo influenzata da ciò che agli occhi appare perfetto. Un’ossessione per la perfezione fisica che ha intrappolato, e diviso, in particolare le donne moderne in un ciclo senza fine di disperazione, autocommiserazione e disagio.
Una condanna per sforzarci ad essere ciò che non siamo. Il modello che la maggior parte delle donne oggi insegue, infatti, è quello di un corpo che non esiste, continuamente ritoccato e maneggiato a livello tecnologico.
Gli studi di mercato dimostrano come le consumatrici di oggi risultano, però, sempre più stufe di sentirsi dire dalle pubblicità e dalle aziende come devono apparire, iniziando a coltivare la sensazione che siano gli stessi brand a tentare di abbattere la loro autostima piuttosto che vendere il
prodotto.
A differenza degli anni ottanta, in cui veniva celebrata la ricchezza, il lusso e l’inacessibilità della bellezza, oggi le persone sono attratte da ciò che arriva, perché e simile a ciò che loro sono, che li rappresenta. Allo stesso tempo desiderano ascoltare storie positive, rassicuranti, capaci di spronare il nostro essere ad andare avanti. La tendenza attuale è quella premiare una creatività, che sia questa declinata attraverso la moda, il beauty, il design o lo spettacolo, che sia per tutti. “In un mondo di cambiamenti continui, complesso per interconnessioni e interdipendenze, la varietà delle storie personali fa la differenza”. Secondo le parole di Maura Cantatore, della storica model agency Why Not, specializzata da ormai quasi mezzo secolo in modelle cosiddette “editoriali”, ovvero fuori
canone, quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria “evoluzione della moda.
Dal dominio della bellezza classica si è passati all’era della personalità. Alle protagoniste delle campagne di moda oggi si chiede di avere una storia da raccontare, un percorso da esibire: da dove arrivano e cosa hanno fatto per diventare quello che sono. Al brand interessa veicolare anche un contenuto: non solo il capo, ma anche chi lo indossa e perché. Un volto senza storia, solo bello, non basta più”.
Quello che ho osservato dai miei studi condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale, è che è in corso una vera e propria rivoluzione culturale, e la PoT Agency desidera farne parte.
E’ secondo questa visione che la PoT Agency si pone lo scopo di promuove l’armonia, l’importanza della cura del sé, del sentirsi bene, in primis con se stessi.
Il lavoro che svolgo, quindi, è una vera e propria attività di promzione dell’inclusione e valorizzazione delle differenze, che mira ad accrescere l’autostima e la fiducia in se stessi, attraverso la creazione di reti e legami e la costruzione di una community che persegua questi principi, nel tentativo di riuscire a immaginare la diversità o peculiarità come punti di forza, secondo l’idea che, come ha scritto il famoso scrittore Murakami: “Un certo tipo di perfezione si
può raggiungere solo accumulando infinite imperfezioni.

Perché chi dice PoT dice Top!


Stefania Visconti

Stefania Visconti è attrice, modella e artista trasformista queer. Originaria della provincia di Rieti, per la precisione di un paese che si chiama Cittaducale, dove trascorre un’infanzia serena e felice circondata dall’affetto della sua famiglia. Laureata in Lettere, indirizzo Arti e discipline dello spettacolo, all’università La Sapienza di Roma. Consegue un master di specializzazione in Risorse Umane che la portano a ricoprire il ruolo di responsabile delle risorse artistiche in un’associazione culturale. Intraprende la strada dello spettacolo studiando e diplomandosi a Cinecittà Campus per la direzione artistica di Maurizio Costanzo, consegue un diploma teatrale dopo aver frequentato il corso annuale Itinera a cura della regista e attrice Sabina Calvesi, si diploma all’Accademia della Comicità diretta da Gegia, segue un corso per drag queen tenuto dall’artista Senith Genderotica e un corso di heels dance tenuto dal maestro Germoglio di Single.

 

Tra i lavori più rappresentativi c’è sicuramente la partecipazione al cortometraggio “Il Barbiere Complottista” regia di Valerio Ferrara, selezionato in numerose rassegne cinematografiche in tutto il mondo tra cui vincitore alla 75° edizione al Festival di Cannes nella sezione La Cinef, vincitore al Festival de Cine Italiano de Madrid e al Pulcinella Film Fest, selezionato alla Festa del Cinema di Roma, al Denver Film Festival negli USA, al Med Film Festival e molti altri.

 

La vediamo ricoprire il ruolo da protagonista di “Pierre” nel videoclip musicale omonimo dei Pooh per la regia di Cosimo Alemà. Partecipa a molti altri video tra cui “Piccoli dettagli” di Giusy Ferreri per la regia di Roberto Saku Cinardi, “Chiave” di Ultimo per la regia di Emanuele Pisano, “Scusate per il sangue” di Low Low e Mostro per la regia di Emanuele Pisano e Maurizio Ravallese e “Revenge” del cantautore Nickis Fabbrocile. La sua storia è presente nel libro “Le cose cambiano” a cura di Dan Savage e Terry Miller edizione italiana a cura di Linda Fava, uscito con il Corriere della Sera e in tutte le librerie (tra le testimonianze del libro troviamo Barack Obama, Hillary Clinton, David Cameron, Anna Paola Concia, Aldo Busi ecc.). A teatro interpreta vari ruoli in spettacoli a volte provocatori come “Perversioni sessuali a Roma” per la regia di Roberto D’Alessandro e “La differenza” di Roberto Braida per la regia di Renato Capitani. È Carlà nella serie “TRANS” di Marco Costa che affronta in maniera ironica il caso Marrazzo, è Stefy makeup nella web-serie di successo a tematica gay “TRIS” per la regia di Doni Corrado. Attrice di numerosi film indipendenti e cortometraggi come “Undercover Mistress” regia di Giulio Ciancamerla (selezionato ufficialmente in sessanta festival internazionali di cortometraggi e vincitore di dieci premi tra cui miglior attrice protagonista a Stefania Visconti). Partecipa anche al film “Magnifica presenza” di Ferzan Ozpetek. La vediamo nello spot Winner Taco Algida e ospite in programmi televisivi tra cui “A gentile richiesta” su Canale 5 condotto da Barbara D’Urso dove racconta la sua storia facendo coming out in diretta. Dal 2022 collabora con Cusano Italia TV ricoprendo vari ruoli in alcuni programmi. Modella per fotografi nazionali e internazionali in Italia, Europa e negli Stati Uniti come Matteo Basilè, Cesare Colognesi, Erica Fava, Eolo Perfido, Coniglio Bianco, Dido Fontana, Bradford Rogne, Austin Young, David Serrano, Davey Tyler e tanti altri. Alcune immagini provocatorie che la ritraggono hanno suscitato reazioni con discussioni accese. Esempio eclatante “Jesus Gay” dell’artista Pino Lauria esposta al Museo Civico di Potenza provocando la creazione di un gruppo di preghiera davanti l’ingresso del Museo. Un’altra foto è spunto di riflessione e confronto con il capo dell’Opus Dei in diretta televisiva su Canale Italia. Negli ultimi anni organizzatrice di eventi artistici e curatrice di articoli culinari sulla rivista mensile “Così in Cucina”.Direttrice artistica di un evento d’arte dal nome “Stefan-io” arrivato alla quinta edizione con l’esposizione di opere e atti performativi in gallerie a Roma come ad esempio “Up Urban Prospective Factory”. Protagonista di performances all’università La Sapienza di Roma nella facoltà di Lettere e al Macro – Museo d’Arte Contemporanea di Roma.