GIULIA MODELLA CORAGGIO
Ricordo ancora come è cominciato tutto: un dolore lancinante alla parte destra del viso, una paralisi facciale e poi la diagnosi, diritta come uno schiaffo: hai la nevralgia trigeminale.
Io, che ne ero totalmente all’oscuro di cosa fosse, decisi di volerne sapere di più e, così ho scoperto che in passato, veniva chiamata la malattia del suicida, proprio perché i pazienti, stremati dai continui dolori, decidevano di porre fine alle loro sofferenze.
Poi è arrivato l’intervento: quattro denti del giudizio sono stati rimossi dal mio cranio, uno dei quali stava tranciando in due il nervo trigemino dalla parte destra della mia mandibola.
Infine, è arrivata la consapevolezza di voler far conoscere al mondo cosa fosse questa patologia e, così, mi sono iscritta al casting per partecipare alla “Bodypositive Catwalk”, una sfilata in intimo basico creata dalla modella Laura Brioschi e Paolo Patria.
Quando sono stata presa non potevo crederci e sfilare in intimo con persone che magari soffrivano di altre patologie mi ha dato una forza incredibile: non ero più sola ed il pubblico ci applaudiva ed ascoltava le nostre storie!
Così, ho continuato anche su Instagram a parlarne e a diffondere il messaggio che le patologie croniche non devono fermarci dal goderci appieno la vita!
Nel mio profilo mostro il mio lavoro di modella, grazie al quale posso posare, sfilare e far vedere al mondo che nulla mi può fermare e nulla può abbattere il mio sentirmi bella e forte!
La mia community ha accolto i miei messaggi e mi sprona sempre a dare il meglio di me.
Sul mio account non condivido solo i momenti “patinati” cioè quelli in cui sono al top della mia salute, ma anche i momenti in cui la nevralgia si fa sentire e mi costringe, ad esempio, a stare a letto per alcuni giorni. Questa condivisione sia dei momenti positivi che di quelli negativi mi permette di far vedere una visione più realistica della vita e mi consente di mostrare che ci si può sempre rialzare quando si cade!
Giulia Gambini
Eterno Kolore, la collezione della Fashion Designer Giulia Ricci
Ciao a tutti…
Sono Giulia Ricci, ho 25 anni nata a Roma ma di origini pugliesi, sono laureata in Fashion Design all’Accademia Italiana di Arte, Moda e Design di Roma; sono figlia unica e ho perso mio padre in tenerissima età. Sin da piccola mi sono sentita diversa rispetto ai miei coetanei a causa della mia forte sensibilità che avevo e che ho tutt’ora. Una sensibilità che mi ha portata negli anni a superare tanti ostacoli, fino ad arrivare alla moda che è stata la mia luce in fondo al tunnel. Ed è proprio grazie alla mia sensibilità che ho dato vita al mio progetto.
Prima di raccontare la mia storia, devo fare una piccola ma importante premessa a cui tengo molto e sulla quale spero possiate riflettere tutti, parlandovi della dedica all’interno della mia tesi:
“Ad una grande Donna del Sud, mia madre…”, ciò vi aiuterà a capire la donna che sono oggi. Ho voluto sottolineare del Sud, perché mia madre è nata in un piccolo paese della provincia di Foggia in Puglia e che, tanti anni fa, ha avuto il coraggio di andarsene da sola, lasciare la sua famiglia, i suoi affetti e i suoi ricordi per trasferirsi a Gorizia dopo un concorso vinto al Ministero dell’Interno, per poi trasferirsi definitivamente a Roma e iniziare così la sua nuova vita, attraversando e riuscendo a superare da sola momenti difficili. Cosa mi ha insegnato? Beh, mi ha insegnato innanzitutto l’intraprendenza, l’amore, l’educazione, la tenacia e il rispetto, trasmettendo i sani valori e indicandomi sempre la giusta via da seguire. Mi ha sempre permesso di inseguire i miei sogni senza mai farmi arrendere. Sin da piccola, mi ha sempre raccontato che se avesse avuto una figlia/o, il suo sogno più grande sarebbe stato quello di vederla/o realizzata/o e che tutti i suoi sacrifici, li avrebbe fatti per dare un futuro migliore a sua figlia/o; e soprattutto, di avere sempre il coraggio di andare avanti, proprio come lei. Ed è così che oggi – grazie ai suoi insegnamenti – sono la donna che sono, forte e determinata. Lei, la colonna portante della mia vita!
L’idea di realizzare il progetto tesi “Adaptive Fashion & Sindrome di Down: la moda flessibile che include” nasce da un’importante esperienza fatta come volontaria nell’ambito della “Clownterapia” presso il Policlinico Umberto I di Roma. Ciò mi ha fatto scoprire di avere una sensibilità spiccata in una società sempre più competitiva. Sposare una causa che avesse come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e di creare un progetto formativo teso all’inclusione sociale della persona con Sindrome di Down; comunicando attraverso i suoi linguaggi, un messaggio di bellezza, diversità ed unicità.
Creare, quindi, una moda inclusiva che possa vestire qualsiasi tipo di fisicità. La chiave è trovare l’unicità di ogni storia. Da qui, l’idea di creare una collezione per ragazzi con Sindrome di Down al fine di sdoganare lo stereotipo e dare importanza all’unicità e all’eleganza che anche questi ragazzi posseggono.
All’inizio mi sono chiesta come fare, perché non avevo né mezzi, né strumenti. Poi ho capito che era di persone che stavo parlando e quindi ho dimenticato la disabilità. Quello che leggerete è frutto della mia esperienza personale e dei miei piccoli ma grandi traguardi. Il viaggio è stato intenso, condividendo nel corso del tempo esperienze e progetti con tante persone incontrate in questo percorso, ognuna delle quali mi ha insegnato qualcosa di diverso. Ho desiderato rendermi utile.
Ho iniziato a rendermi utile, creando il questionario online in forma anonima inviato a tutte le sedi dell’AIPD e altre associazioni come l’AS.SO.RI Onlus di Foggia, dove agli utenti è stato chiesto di rispondere alle domande formulate; una ricerca che ha rappresentato l’inizio di uno studio sul
territorio nazionale, finalizzata a raccogliere informazioni direttamente dai soggetti interessati. Ciò ha permesso la conoscenza sul piano reale delle necessità e delle risorse. Perché conoscere significa dare voce, bisogna ascoltare per riuscire a cambiare. Il settore della moda, con il grande potere sociale di cui dispone, può proporre un profondo cambiamento.
Passaggio successivo, è stato il primo articolo di “Moda Inclusiva” sul giornale Tiburno.tv di Roma, sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inclusione sociale della persona con Sindrome di Down. Successivamente, il secondo articolo di “Fashion & Sindrome” sempre sul giornale Tiburno.tv di Roma, che parla di moda colorata e inclusiva con modelle uniche e spontanee.
Ho proseguito cercando di rendermi utile, in occasione della Giornata Mondiale della Sindrome di Down del 21/03/2022. La campagna AIPD Nazionale “inclusione significa esserci”, ha pubblicato la mia storia di “ordinaria inclusione”.
Con la creazione del Fashion Show intitolato “Nuovo Mondo”, il final show di Accademia Italiana presso Altaroma il 4/02/2022, ha voluto simboleggiare la ripartenza, e come la collezione ha raccontato l’unicità come valore e non come limite. Eterno Kolore è la collezione della stilista Giulia Ricci, fatta di abiti trasformabili e morbidi kimono con ricami naïf, che parla di inclusione e lotta ai pregiudizi. L’esperienza durante e prima della sfilata, è stata davvero entusiasmante. Proprio le ragazze a cui si dice che non diventeranno mai modelle, sono il mio punto di riferimento e con loro ho voluto dimostrare che non esiste un solo tipo di bellezza, perché la diversità è bellezza. Chi siamo noi per definire la bellezza? Mi hanno insegnato come si può essere unici nel nostro modo di essere, e come in quella passerella le ragazze sono riuscite a trasmettermi un messaggio forte e chiaro di bellezza e spontaneità. E’ stato un sogno, volevo che quella passerella fosse unica proprio come la mia collezione Eterno Kolore e ci sono riuscita; portando con grande orgoglio, amore e dedizione una collezione elegante, creativa ed unica che duri per sempre.
Infine, ho proseguito creando il mio ultimo shooting sempre della mia collezione con i ragazzi con Sindrome di Down e non, e con il prezioso aiuto dei loro genitori, che si sono divertiti tanto. E questa, credo sia la cosa più bella e gratificante. La mia più grande soddisfazione sono loro!
Pertanto, ho capito che la moda è la mia strada e che le mie doti comunicative e relazionali insieme al sociale, mi hanno dato modo di creare la mia pagina social di Instagram e Facebook
@liamodainclusiva. Un brand di moda inclusiva con l’obiettivo di sensibilizzare per guardare al futuro, alle uguaglianze e ad una comunicazione più libera possibile da stereotipi e preconcetti.
Una moda che possa vestire qualsiasi tipo di fisicità della persona, per una integrazione sociale ad ampio spettro. La filosofia del brand, è quella di creare un codice etico che ha come valore principale quello umano, senza alcuna forma di discriminazione ma facendo dell’unicità di chi viene definito “diverso”, il nostro “punto di forza”. Creare un mondo autentico e libero, tutti sono al centro di tutto.
Il brand è un connubio tra moda inclusiva e tecnica del ricamo per esprimere con la potenza dei colori e dei materiali, le storie che di volta in volta saranno raccontate attraverso le collezioni. Un vero e proprio “storydoing” (l’arte del narrare attraverso i fatti) social – etico – responsabile, nuove azioni e nuovi patti di relazione che vadano al di là delle promesse delle pubblicità per proporre una nuova moda e nuovi corpi che non rientrano nei classici stereotipi di bellezza. La diversità è motore di crescita, trasformazione e nuove prospettive.
Continuerò ad occuparmi di diversità e inclusione, ho già la mia community attiva di ragazzi e genitori che pian piano sta aumentando sempre di più; di questo, ne vado fiera perché l’obiettivo è quello di comunicare qualcosa di grande, di importante e di concreto. Un lavoro enorme che mi ha portata a scoprire nuove realtà, ad approfondire nuove tematiche, a sbagliare, a cadere e a rialzarmi. Non ho mai mollato, anzi ogni giorno sono sempre stata più interessata a ciò che stavo facendo. La mia motivazione cresceva, gli ostacoli sono diventati occasioni in più per approfondire il tema. Affrontando tutto questo a testa alta! Ad oggi, posso dire di essermi guadagnata un pezzo della mia strada, certamente c’è ancora tanto da percorrere; continuerò ad inseguire il mio sogno, ossia, dare una mano a chi quasi sempre, resta fuori.
Tutto ciò, sta dando un senso alla mia vita e mi sta aprendo nuovi scenari, che non intendo farmi sfuggire. Non mi arrenderò e non mi scoraggerò! E’ una rivincita personale dimostrare a chi non ha creduto in me, e uno sprone per chi può trovarsi nella mia stessa situazione.
Orgogliosa di essere un esempio di inclusione reale!
Giulia Ricci
RestartHer... per donne con un’idea di business
RestartHer è il corso online per donne con un progetto di business da realizzare. Ogni partecipante viene seguita personalmente e lavorerà in modo autonomo e in gruppo per accelerare la realizzazione del suo progetto imprenditoriale.
Il senso di isolamento, la mancanza di strumenti, non saper a chi rivolgersi sono spesso fattori che bloccano l’iniziativa autonoma e imprenditoriale nelle donne. Abbiamo voluto dare una risposta concreta a queste richieste. È un percorso molto pratico che in sei settimane consente di concretizzare un progetto di business, validarne le ipotesi, sviluppare una strategia innovativa e commerciale basata sui bisogni reali dei clienti. Con RestartHer vogliamo dare ad ogni donna la possibilità di mettersi in proprio, di sviluppare un progetto redditizio e di realizzare la propria indipendenza finanziaria.
È rivolto a donne:
- Vorrebbero cambiare lavoro avviando la loro attività;
- Hanno perso il lavoro e desiderano mettersi in proprio;
- Hanno da poco avviato la loro attività autonoma;
- Hanno un progetto ma non sanno come renderlo redditizio.
Il percorso consiste in un incontro settimanale per sei settimane consecutive (il mercoledì, dalle 18 alle 20), oltre ad un gruppo dedicato in cui tutte le partecipanti e la docente interagiscono 7 giorni su 7 (ogni lezione è registrata e fruibile successivamente). Il coinvolgimento è quindi costante lungo tutto il percorso.
Questo percorso formativo è progettato per essere un’esperienza di apprendimento coinvolgente e innovativa. Ogni partecipante riceverà feedback personalizzati, l’interazione con la docente e le altre partecipanti sarà costante per tutto il periodo. A conclusione del percorso si entrerà nella community dedicata dove si continuerà ad interagire e a co-creare.
Cosa si apprende durante il corso RestartHer:
- ridurre i rischi connessi all’avvio di un’attività autonoma;
- Costruire un’offerta che risponda a bisogni reali dei tuoi clienti;
- Passare dall’idea all’impresa;
- Determinare come, quando e quanto farsi pagare;
- Stabilire i canali di vendita che funzioneranno meglio per l’attività;
- Lavorare in gruppo con altre donne
Perché RestartHer?
Il corso di formazione online RestartHer nasce come risposta al bisogno formativo in ambito imprenditoriale da parte delle donne che vogliono mettersi in proprio e desiderano farlo con un approccio pratico e coinvolgente.
Sono aperte le iscrizioni al prossimo corso, in partenza il 9 novembre. Per partecipare, scrivi entro il 26 ottobre a Restarther@huky.it o visita il sito (huky.it/restarther) per scaricare la presentazione completa ed essere contattata.
Bio Alessandra Lomonaco
Alessandra ha quasi trent’anni di esperienza nel mondo manageriale e imprenditoriale. Ha fondato Huky nel 2020, una società di consulenza e formazione in ambito strategia, innovazione e finanza agevolata.
Precedentemente ha lavorato per diverse realtà multinazionali in Italia e in Gran Bretagna nei settori dell’information technology e della consulenza manageriale.
Ha una laurea in economia aziendale conseguita nel 1993 all’Università Ca’ Foscari, un master in business administration al MIB Trieste School of Management (2013), è Innovation manager presso il Ministero per lo Sviluppo Economico e valutatore esperto presso la Commissione Europea.
Svolge svariate attività in Italia e in Europa per l’imprenditoria femminile e giovanile, oltre ad essere mentor in alcuni programmi internazionali di accelerazione di startup (tra gli altri: membro comitato scientifico di ANGI – associazione nazionale giovani innovatori, founding member di European Women in VC, international mentor di Startupbootcamp, mentor di Techstars, mentor H4Young, mentor Young Women Network).
Dal 2018 è inserita tra le UnstoppableWomen, una lista di donne che stanno cambiando l’Italia gestita da StartupItalia.
Alessandra LOMONACO
Virginia De Carlo E Il Suo Talento Nella Danza
Il mio corpo è affetto da una forma di tetraparesi spastica che mi avrebbe dovuta condannare a una vita a metà. Invece danzo, cammino sulla sabbia rovente della battigia, vinco gare e competizioni, passeggio con le amiche, amo e lotto, cado, e mi rialzo.
Sono una ballerina con la passione per il ritmo che mi accende il cuore, e da quel muscolo involontario parte l’energia, che muove il mio corpo che per molti non dovrei osare tanto.
In una vita in cui la maggior parte degli osservatori potrebbero a fatica trovare gratitudine, vi sorprenderò con la gioia di saper trovare le parole giuste per esprimere quanto ciascuna delle persone che ho incontrato abbiano significato per me.
Anche quando gli altri sono stati ostili, non nascondo al lettore la rabbia, il dolore e l’amarezza ma, ancora una volta, vi sorprenderò con la mia gratitudine verso quelle svolte che nella vita paiono muri in ombra e invece sono angoli, dietro cui si apre una giornata di sole.
Virginia De Carlo
The Aha Moments And My Playlist
In inglese “aha moments” indica il momento in cui nasce l’idea creativa. In questo ultimo evento di We Hate Pink abbiamo provato a capire come questi momenti di creatività possano essere influenzati dalla musica.
Non tutti noi siamo amanti della musica ma la musica gioca un ruolo importante nella vita di molte persone. Ognuno di noi ha il proprio modo di connettersi con la musica che ha una connessione diretta con le nostre esperienze personali. Ascoltando una playlist, la tua mente finisce lontano da dove hai iniziato ma non è sempre detto che sia di aiuto alla creatività.
Nei primi anni ’90 si parlava dell’effetto Mozart, il primo studio che collegava la musica classica all’aumento della cognizione spaziale. Nel 2017, alcuni ricercatori hanno scoperto gli effetti che diversi tipi di musica hanno sulla creatività. Sulla base dello studio dell’Organizzazione olandese per la ricerca scientifica (NWO), la capacità cognitiva di un individuo ha due segmenti, il pensiero divergente e il pensiero convergente, in cui uno è più dominante dell’altro. Lo studio conclude che l’ascolto di musica allegra aumenta la capacità di essere creativi dei pensatori divergenti. Ciò ha dimostrato che la musica “felice” aumenta la creatività. In particolare, aumenta la capacità di aumentare le idee. Durante il talk abbiamo esplorato come usare la musica per far fluire le idee e stimolare la creatività. Ma abbiamo scoperto che non per tutti, la musica allegra ha necessariamente un effetto creativo. La creatività di una persona è potenziata dalla musica allegra, quella di un’altra da musica più lenta o più pesante. In un recente sondaggio si è addirittura rilevato che alcuni preferiscono i podcast. Ogni creativo è ispirato in modo diverso da una così vasta gamma di stimoli che sembra difficile classificarli. Per Ryan Battles, Dj, esperto di branding e marketing e autore, l’elemento che più di tutti stimola la sua creatività è andare oltre la musica, scoprire la storia dietro l’artista e cosa ha utilizzato come fonte di ispirazione. La creatività non è un processo lineare, infatti per Federica Attanasio, Co-Founder and Direttrice creativa di We Are Effe, sono i testi a stimolare la sua creatività, andando oltre la musica.
Nel corso della serata abbiamo anche analizzato il ruolo delle donne nel settore musicale, in particolare nel contesto britannico. Secondo il report ‘Seat at the table’ la percentuale di donne nei board delle aziende musicali è aumentata negli ultimi due anni. Nel 2020, solo il 9% dei CEO delle undici più grandi aziende musicali erano donne. A partire dal 2021 la percentuale è aumentata e oggi siamo al 27%. Non possiamo però dire lo stesso per le artiste. Infatti, la maggior parte delle line up dei festival britannici sono ancora fortemente dominate dagli uomini, la domanda che infatti abbiamo posto ai relatori è come possiamo raggiungere gli stessi progressi per le artiste. Secondo Tom Chichester, compositore e Founder della etichetta discografica Elsham Music che lavora molto con il settore pubblicitario, la tecnologia ha riportato la musica nelle mani delle artiste e delle autrici musicali. Federica Attanasio ha ribadito l’importanza di creare e mantenere delle partnership tra artisti e march, senza escludere l’opportunità offerta dai social media nel puntare i riflettori sugli artisti emergenti. Secondo Ryan Battles i social sono fantastici nel creare opportunità di carriera e far scoprire le artiste emergenti ma possono anche esercitare molta pressione, costringendole a conformarsi ai trend del momento.
Abbiamo poi concluso la conversazione introducendo il progetto Safe Spaces Now, lanciato da UN Women UK, volto ad eliminare le molestie e la violenza negli spazi pubblici (festival e concerti) e nel settore musicale. La ricerca condotta da UN Women UK rivela che nel Regno Unito più del 70%, delle donne e persone non binarie, ha subito molestie sessuali in luoghi pubblici. Il 40% delle donne sotto i 40 anni ha subito molestie o è stata vittima di violenza nel corso di un evento di musica dal vivo. All’interno del settore musicale, oltre il 60% delle professioniste del settore ha subito molestie sessuali. Il progetto sta sensibilizzando il governo britannico ad intervenire all’interno di spazi pubblici. Nel frattempo, con “Safe Spaces Now’ stiamo lavorando alla creazione di spazi sicuri nel corso degli eventi musicali a cui le donne e le persone non binarie possono rivolgersi in caso di pericolo. Quest’estate UN Women UK ha partecipato a numerosi festival su tutto il territorio britannico e sta coinvolgendo moltissimi artisti che hanno firmato la petizione e si stanno impegnando personalmente sull’argomento.
Rossella Forlè
We Hate Pink è una community femminista nata a Londra da Rossella Forlè. La piattaforma ha come obiettivo quello di affrontare temi e argomenti legati alla discriminazione di genere nella vita quotidiana e sul lavoro. Organizza eventi, webinar, workshop e ha una Zine su cui vengono pubblicati articoli settimanali. La piattaforma si occupa di attivismo partecipando ad azioni dirette online ed offline. Per partecipare ai nostri eventi e far parte della community seguici @wehatepink e @wehatepinkitalia.
Passione, determinazione e... un caleidoscopio di emozioni!!
Qualcosa di innato e inspiegabile a parole, che sentiamo crescere dentro di noi senza riuscire a contenere, perchè ignorarlo, sarebbe come snaturare noi stessi.
E’ vero che spesso seguire strade prevedibili, allinearsi a ciò che è comune rappresenta il percorso più semplice ma… se questo significa limitare il nostro essere invece di assecondare il nostro istinto, allora preferisco di gran lunga rischiare, magari cadere, ma con la consapevolezza di averci provato, di aver creduto nel dono che mi è stato fatto: un bisogno di esprimere, di creare, modificare, renderendo ogni cosa emozionante ed universale…questa per me è l’arte in tutte le sue sfaccettature, la ricerca della bellezza… un’ armonia che vive su un equilibrio necessariamente instabile.
Terminato il percorso di formazione come make up artist in cui ho potuto imparare le tecniche di realizzazione per tutte le tipologie di trucco: dal classico trucco sposa, al make up teatrale passando dagli effetti speciali fino al body painting, ho partecipando ad alcune gare di trucco, tra cui il campionato nazionale di body painting di Merano nel 2017 in cui ho conquistato il terzo posto nella categoria esordienti; nello stesso anno, ho vinto il primo premio per il trucco fashion durante la gara ad Albisola Marina.
Nel 2018 ho gareggiato al campionato italiano dei corpi dipinti di Garda, ed ho partecipato alla trasmissione ‘’Detto Fatto’’ in onda su Rai 2 con la realizzazione di un body painting.
Sono stati due anni ricchi di nuove esperienze, amicizie e grandi emozioni che fino a poco tempo prima non avrei mai creduto di poter vivere… è stata la conferma del fatto che nonostante le difficoltà e le incertezze soprattutto iniziali, credere nei propri obbiettivi e lavorare con passione per raggiungerli ripaga di ogni sforzo, regalando momenti indimenticabili.
Gli ultimi due anni hanno messo alla prova tutti noi e personalmente, come tanti altri colleghi e artisti, mi sono ritrovata di fronte all’impossibilità di creare, di emozionare ed emozionarmi condividendo momenti speciali che si creano lavorando con passione in compagnia di altri artisti, modelle, del pubblico e di tutte le persone che si affidano a me e ai miei colori…
Oltre all’aspetto più creativo e fantasioso che amo del mio lavoro, sono da sempre convinta che non si tratti soltanto di estetica e stile, ma che coinvolga soprattutto un aspetto emotivo ed emozionale molto importante. Per questo, ciò che più mi è mancato durante il periodo di stop che siamo stati costretti a vivere, è il rapporto umano che si instaura con le persone durante il trucco: amo valorizzare la bellezza, ma ci tengo soprattutto a sottolineare la loro personalità, il loro carattere attraverso il look, rendendole così ancora più uniche e sicure di sè, anche facendole riscoprire una bellezza nuova.
Durante la pandemia, per rendere comunque produttivo questo periodo difficile, ho approfittato del tanto tempo a disposizione per dedicarmi a corsi di aggiornamento e approfondimento, ampliando così le mie conoscenze a 360° su tutti gli aspetti riguardanti l’arte del trucco.
Ho intrapreso un percorso di specializzazione qualificandomi come Truccatrice dello Spettacolo, visto che un mio sogno sarebbe lavorare per il mondo dello spettacolo spaziando tra show, teatro e cinema; inoltre ho seguito una specializzazione sul trucco oncologico, per aiutare attraverso il trucco chi nonostante stia vivendo un periodo difficile, non deve smettere di amarsi e prendersi cura della propria bellezza!!
Per unire il mio lavoro di truccatrice alla mia passione per la moda, ho deciso di diplomarmi come Consulente di immagine e Armocromia, al fine di dedicarmi a tuttotondo nel valorizzare la bellezza delle persone, aiutandole ad esprimere la loro personalità ed unicità non solo attraverso il make up, ma anche attraverso il loro abbigliamento.
Sono sempre alla ricerca di nuovi spunti creativi e nuove occasioni di crescita, sono dell’idea che si possa sempre migliorare e non bisogna mai smettere di acquisire nuove competenze, la creatività ha bisogno di nuovi stimoli e spaziare in diversi settori ci permette di arricchire il nostro bagaglio personale.
Sarah Camerlo
La storia di Adele, modella albina
Adele è nata in un caldo giorno d’autunno,
lasciando a bocca aperta tutti Coloro che si trovavano intorno a se’, soprattutto me, che continuavo ad aprire e chiudere gli occhi per rendermi conto se fosse vero ciò che stavo guardando. Lei era lì, davanti a me, in tutto quell’incredibile candore.
Mi scoppiavano in cuore troppe sensazioni tutte insieme, emozione, felicità, incredulità …
Ebbi subito la percezione che lei fosse albina, ma ho subito accantonato quel pensiero avevo bisogno di continuare a gioire perché lei finalmente era arrivata .
Volevo e dovevo godermi quell’attimo, così tanto desiderato e atteso.
E allora quel pensiero è rimasto lì fino al giorno dopo quando ebbi la conferma.
Se chiudo gli occhi e ripenso a quell’istante rivedo un piccolo pulcino disperato e urlante che smetteva solo al contatto con le mie labbra sulle sue , così morbide e dolcemente calde.
Era avvolta in un lenzuolino tutto bianco, con questi sottilissimi peli che spuntavano da sopra la sua testolina, bianchi, talmente bianchi che continuavo ad osservarli come se dovessi convincermi che erano veri, il mio sguardo cercavano le sue sopracciglia che sembravano quasi inesistenti da quanto fossero chiare.
Attimi, pochi secondi ma che ricordo quasi come interminabili… Ricordo bene le voci di stupore dei dottori che ancor prima di farmela vedere urlavano entusiasti: “Non ha capelli! Non ha capelli!”. Come se fosse qualcosa di incredibilmente strano, ma i capelli c’erano, semplicemente non si vedevano .
Adele, ha 7 anni, è mia figlia ed è albina.
Per tutto il suo primo anno non riuscivo nemmeno a dirlo, come se aver avuto una bimba con una patologia rara mi facesse sentire inadeguata agli occhi del mondo.
O forse era proprio così che mi sentivo, per tutte le domande e gli sguardi curiosi ricevuti da quando lei è venuta al mondo.
L’albinismo e’ una patologia rara. Comporta mancanza di melanina in pelle, capelli, peli ed occhi, con conseguente riduzione delle capacità visive e difetti di retina. La maggior parte degli albini hanno pelle, peli e capelli bianchi o molto chiari, tanto da farli apparire eterei e candidi , e occhi che tendono al rosso, a volte anche al viola.
Spesso dico ad Adele che esisteva una bellissima e bravissima attrice che aveva gli occhi viola, anche se non era albina.
Molte persone non sanno nemmeno che ci sono addirittura varie forme di albinismo. La maggior parte pensa sia esclusivamente una questione di pelle chiara, che basta spalmare un po’ di crema protettiva ed è fatta! O che addirittura non si debba mai stare al sole se non con maniche lunghe.
Ma non è proprio così! Certo, è sempre necessaria e vitale una costante e adeguata protezione solare per evitare le scottature che provocherebbero seri danni, e occhiali scuri per proteggere gli occhi dai raggi solari, ma con queste accortezze Adele può stare al sole senza indossare necessariamente maniche lunghe anche ad agosto.
Nemmeno io sapevo esattamente di cosa si trattasse, avevo visto , forse, un documentario nel corso della mia vita, che raccontava di terre lontane, bambini africani albini, con pelle e capelli bianchi e grandi macchie marroni causate dalle gravi ustioni, bambini martoriati dal sole, ghettizzati e isolati per la loro condizione, a cui venivano inflitte atroci torture solo per stupide superstizioni o false credenze.
Ed è incredibile che ancora oggi in molti Paesi succede ciò.
Da qui è nata, qualche tempo dopo, la consapevolezza di quanto sia esclusivamente questione di fortuna. Nascere nella parte del mondo giusta, ma soprattutto in una famiglia amorevole in grado di accogliere e accompagnare un bimbo con disabilità verso la strada per il suo futuro a soprattutto riuscire a fornirgli gli strumenti per poter affrontare il suo pezzo di vita.
I primi istanti, dopo la sua nascita sono stati per me estremamente duri.
Perché come tanti ho creduto nello stereotipo, ho creduto ad una perfezione che non esiste nel reale. Ho creduto a tutto ciò che con una superficialità disarmante veniva raccontato e prospettato sui siti di informazione.
I primi momenti erano un susseguirsi di visite ed esami , subito mi sono messa in moto per capire , scoprire , pensavo di trovare addirittura una medicina, qualsiasi cosa, potesse aiutarla ad integrare questa melanina che non c’era .
Ed ogni mio momento era dedicato alla ricerca.
Ricordo momenti di rabbia, sconforto, dove non uscivo di casa per evitare quegli sguardi e quelle domande spesso sciocche, le umiliazioni a dover dare una spiegazione su quei colori poco comuni, quando io volevo solo fare una passeggiata con la mia bimba .
Ricordo la prima volta che ho digitato la parola “albinismo” in internet e mi sono ritrovata a dover leggere parole come, ipovisione, cecità, strabismo, nistasmo e molto altro o vedere immagini a volte anche inquietanti, bimbi o persone rappresentati con facce tristi, occhi con riflessi rossi, o bimbi africani che per mancanza di creme solari e occhiali scuri avevano avuto conseguenze tragiche, che anche nella letteratura e al cinema persone con albinismo avevano sempre rappresentato personaggi con una connotazione negativa.
Ero angosciata nel pensare che Adele potesse, un giorno, vedere quelle immagini e provare inquietudine o tristezza o magari paura per Le caratteristiche con cui era nata .
Ma la cosa che mi spaventava di più era il pensiero che mia figlia potesse essere cieca, che potesse crescere in un mondo dove veniva derisa o discriminata.
Continuavo a chiedermi se avrebbe mai avuto una vita normale, se fosse stata autonoma, se qualcuno l’ avrebbe preso in giro o derisa per il suo aspetto, se avrebbe avuto difficoltà a scuola o nella relazione con gli amici, se ce l’avrebbe fatta ad affrontare la vita da sola un giorno, senza di me e se potesse crescere serena e felice anche con i limiti che la natura le aveva donato …
Ma Adele era ed è , il mio bene più’ grande e avrei fatto di tutto per proteggerla!
Ho capito che tutto quel dolore, quella rabbia non portava a nulla di buono per noi , e soprattutto per la mia bambina.
Così ho smesso di cercare informazioni da dottori o siti che non raccontavano nulla che potessero aiutarci,
Ho iniziato così a contattare ragazze albine adolescenti, mi sono fatta spiegare i loro percorsi di crescita, e famiglie che avevano vissuto prima di me questa esperienza; ho ascoltato le loro sensazioni, consigli, ascoltato storie di vita concrete e reali fatte di qualche difficoltà, ma anche di tanta normalità e felicità.
Ho così iniziato a guardare davvero Adele, per quello che era e non per come veniva rappresentata sui siti attraverso la sua condizione genetica, per la prima volta ho davvero iniziato a guardare mia figlia, a concentrarmi su di lei, a conoscerla davvero. Ed ho visto quanta meraviglia, bellezza, e forza sprigionava, ammiro il suo spirito forte e combattivo, il suo essere fiera e consapevole allo stesso tempo .
L’ albinismo crea sicuramente dei limiti, ma questi limiti possono essere accettati e anche superati con tanta forza di volontà e positività .
Mentre io assimilavo il tutto, Adele nel frattempo cresceva forte e determinata, sempre pronta a mettersi in gioco in tutto ciò che le piace cercando sempre degli strumenti che l’aiutino a trasformare i suoi punti deboli in punti di forza.
Spesso la osservo, mi fermo a guardarla incantata per la naturalezza con cui affronta le sfide più difficili che la natura le pone davanti .
Grazie ad Adele è cambiato il mio approccio verso il mondo e la vita, è sparita in me la rabbia iniziale, il mio senso di inadeguatezza, il fastidio che provavo nell’ essere osservata, alle domande delle persone o agli sguardi incuriositi rispondo con un gran sorriso stampato sulla bocca e se qualcuno tacitamente si domanda se lei sia albina io rispondo con tutto l’orgoglio che ho in petto: “ Si, Adele è albina”.
Con i servizi fotografici è cominciato tutto per caso , in un momento delicatissimo della nostra vita.
Un giorno questa splendida fotografa, Valeria Lobbia, ha visto Adele, da tempo cercava una bimba con le sue caratteristiche e come se avesse sentito il mio bisogno di essere trovata ci ha contattate. Mi ha trovata in un gruppo fb privato in cui stavo scrivendo una dedica per la mia Adele e stavo incoraggiando le altre mamme raccontando la mia esperienza.
Adele aveva quasi 5 anni.
Siamo arrivate in questo studio per una semplice esperienza, un nostro piccolo regalo, cosi per gioco e curiosità, una piccola ricompensa tutta per noi .
Adele era lì , meravigliosa, sicura, fiera, e con il cuore in gola sono rimasta ad osservare la sua compostezza e incredibile naturalezza davanti l’obiettivo …
Ho sentito subito qualcosa di magico sprigionarsi in quella stanza, in cui ci siamo tornate altre volte ancora, alcune di queste foto hanno in seguito ricevuto addirittura dei premi internazionali!
Trovo così incredibile con quanta naturalezza lei guardi e si compiaccia in modo assolutamente naturale e composto dei risultati ottenuti, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Adele ha iniziato così a fare dei servizi fotografici, è felice quando viene chiamata.
Davanti l’obiettivo è come se si sentisse totalmente se’ stessa, fiera, orgogliosa. Come se entrasse in un mondo magico e speciale dove attraverso il suo sguardo profondo e intenso lei riuscisse a raccontarsi e donare agli altri un pezzo di se’.
Probabilmente, se quando lei è venuta al mondo io avessi visto delle foto come quelle di Adele, avrei sicuramente accolto quella diagnosi in modo totalmente diverso. Ora sono tanto fiera e orgogliosa quando alcune mamme mi contattano perché vedono Adele in qualche servizio e accolgono i loro bimbi nella positività. Sono felice quando mi scrivono mamme i cui bimbi, magari intimiditi dalla loro condizione, si sentono poi orgogliosi e incoraggiati guardando Adele.
Penso a quanto fortuna abbiano ora con i social dove tutto è più immediato e diretto trovare facilmente delle informazioni o esperienze di vita vera …
So per certo però, che Adele saprà capire le mie lacrime , comprenderà che la mia disperazione iniziale era semplicemente paura di ciò che non conoscevo e mi faceva paura, era semplicemente il mio amarla incondizionatamente sopra ogni cosa, era il voler darle un porto sicuro da cui partire, per acquisire poi, gli strumenti per poter navigare da sola durante il viaggio della sua vita, ma consapevole che nella sua famiglia troverà sempre l’appoggio e tutto l’amore di cui lei avrà bisogno.
Perché lei lo sa, che insieme ai fratelli, è il nostro bene più prezioso .
Antonella (mamma Adele)
Tra ombre e colori
Qual’è la linea sottile che divide il possibile dall’impossibile? Da chi, e da che cosa, ci viene imposto un’ ideale di ‘’normalità’’? Ciò che deve o non deve essere, ciò che è possibile fare o non fare, secondo limiti prefissati da altri e dalla società.
Credo che queste risposte siano dentro ognuno di noi, e abbiano solo il bisogno di essere ascoltate e sperimentate.
Sono Sarah Camerlo, ho 25 anni e vivo a Castellamonte in provincia di Torino, dove lavoro come Make up Artist, Body Painter e consulente di immagine. Mi ritengo una persona ambiziosa, creativa, emotiva, caratterizzata da un mix di fragilità e determinazione… insomma, un cocktail di cui potrete scoprire meglio gli ingredienti duarnte i prossimi articoli!!
Sin da bambina sono sempre stata appassionata di arte, moda, pittura, fotografia, trucco e tutto ciò che mi permettesse di esprimere la creatività.
Ero una bimba dalla spiccata sensibilità, piuttosto timida e per questo, amavo rifugiarmi nel mio mondo colorato e fantasioso passando le giornate a disegnare, dando forma alla mia immaginazione e sognando di essere una stilista.
Durante i miei primi anni di vita però, la realtà ha preso il sopravvento facendo scendere l’ombra sui miei sogni colorati e sulla vita della mia famiglia.
All’età di circa 2 anni e mezzo mi è stata diagnosticata l’ Atrofia Muscolare Spinale (SMA), una malattia neurodegenerativa che all’epoca era ancora poco conoscuita e che colpisce spesso durante l’infanzia, causando progressiva perdita di massa muscolare e di forza, mentre negli stadi più avanzati della malattia si manifestano anche problematiche respiratorie gravi.
All’età di 6 anni sono salita sulla carrozzina elettronica che per me ha rappresentato subito uno strumento di autonomia e libertà, dal momento in cui ormai ogni movimento per me iniziava a rappresentare un grande sforzo fisico.
Sono stati anni di visite, paure e incertezze, difficoltà fisiche e soprattutto emotive per la mia famiglia… insomma, i percorsi facili non hanno mai fatto al caso mio, ma la voglia di trasformare in luce e colore tutto ciò che oscurava il nostro presente non è mai mancata!!
Il mio sogno di diventare stilista ha dovuto rimanere nel cassetto in quanto avrei avuto troppe difficoltà nel cucire e creare cartamodelli vista la mia manualità un pò limitata, così mi sono diplomata in Grafica al liceo artistico.
Terminato il liceo, nel 2017 ho intrapreso il mio percorso di studi professionali in accademia di trucco a Torino.
Sono subito stata decisa sul fatto che il mondo del make up rappresentasse a pieno ciò che sogno di fare nella mia vita, unisce la mia passione per la moda, per il cosplay, per il disegno attraverso il body painting, ed è un campo vasto e molto creativo che mi da la possibilità di esprimermi spaziando in svariati settori, e lavorando a contatto con il pubblico.
Inizialmente avevo molta paura sul fatto che essendo limitata nei movimenti anche questo mio sogno si sarebbe trasformato in un tentativo fallimentare, ero consapevole che ci fosse la possibilità di non riuscire a portare al termine questo percorso, ma ho deciso con determinazione di provare senza arrendermi di fronte alle difficoltà che avrei potuto incontrare, per poter realizzare i miei obbiettivi. Fu un anno impegnativo ma pieno di soddisfazioni personali, un’ esperienza che rimarrà una delle più belle in assoluto dalla quale oltre ad essermi formata professionalmente, ho imparato molto sull’importanza di credere in noi stessi, nei nostri sogni e nelle nostre capacità.
Sono sicura che ci siano delle energie inspiegabili che ci spingono a scegliere determinate strade nella nostra vita, stà a noi ascoltarle, dare voce alle nostre sensazioni e a volte, quando esse sono particolarmente forti, fidarci e affidarci ad esse: forse, ci stanno accompagnando nel diventare ciò che davvero sentiamo di essere!!
Sarah Camerlo
"CONTENT CREATION ED INFLUENCER MARKETING"
La creatività è un elemento fondamentale del web marketing e della comunicazione digitale in generale: sono infatti i creativi che da sempre si occupano di realizzare campagne pubblicitarie sempre più coinvolgenti. Con l’affermarsi dei social media la creatività continua ad avere un ruolo di primo piano, anzi, si potrebbe dire che oggi è più importante che mai.
In questo articolo, quindi, ho deciso di trattare il tema dei content creators, ed in particolare degli influencers.
Quando parliamo di web marketing parliamo di “un insieme di strumenti applicati ad una strategia per far crescere gli obiettivi di business di un’azienda, primo fra tutti la vendita dei propri prodotti e/o servizi. Tramite il web marketing, infatti, è possibile individuare su quali canali investire tempo e risorse, capire quali sono le campagne di comunicazione da intraprendere per trasformare i propri utenti in clienti fidelizzati, e tanto altro ancora. È difficile fornire una definizione univoca di cosa è il web marketing, ma è certo che aziende e professionisti non possano trascurarlo, perché Internet è entrato a pieno nelle nostre vite, prepotentemente. È chiaro che i social network hanno giocato un ruolo fondamentale in questo cambiamento complesso e considerevole”[1].
Il web, anno dopo anno, diventa un terreno sempre più interattivo composto da nuove piattaforme e nuove tipologie di contenuti. E nel web sono i social media a rappresentare sempre di più il terreno fertile su cui muoversi, sia per costruire il proprio personal brand sia per pubblicare contenuti che mirano a costruire una community fedele. I social hanno finito, quindi, per dare vita a tanti nuovi lavori, uno di questi è sicuramente la professione del content creator.
Il content creator è la mente creativa dietro ai progetti di comunicazione online che deve studiare, progettare e realizzare dei contenuti idonei ed efficaci da promuovere sul web. Oggi, sul web comunichiamo con diversi contenuti multimediali e con diverse modalità. Tutto dipende dalla piattaforma che utilizziamo: che questa sia Facebook, YouTube, Instagram, Twitch o Tik Tok. Va da sé che, quindi, il content creator deve possedere un mix di soft e hard skills: deve avere ottime capacità di scrittura (in gergo copywriting); saper attingere alla propria creatività in qualsiasi momento; saper mettere a punto un progetto di comunicazione che sia in linea con gli obiettivi del cliente o della propria attività, nonché con il mercato di riferimento, con il target e con le specifiche di ogni singolo contenuto; riuscire ad ideare, definire e creare prodotti multimediali vari tra loro. Il content creator, perciò, deve saper realizzare materialmente i contenuti e non solo pensarli, deve riuscire a coordinare il proprio impegno con quello di editor, webmaster, grafici, videomaker, e con ogni figura che è incaricata alla realizzazione di contenuti multimediali. E’ perciò possibile dire che il content creator è l’artista del web. Che produca video, fotografie oppure scriva blog, la sua principale caratteristica è quella di creare dei contenuti. Inoltre, rappresenta una figura ibrida in grado di copre molteplici ruoli, come quello del social media manager e dell’imprenditore digitale e, a volte, anche quello dell’influencer.
L’influencer “è colui o colei che ha capacità di influenzare con le proprie opinioni elargite sul web e sui social media, le decisioni e i comportamenti della propria community, o, più generalmente, delle persone”[2]. Gli influencer sono persone che, quindi, sono riuscite a diventare influenti in una specifica nicchia di mercato: dal beauty al fashion, dal gaming al travel, dall’arte alla musica e tanto altro ancora.
A differenza del content creator, però, gli influencer sono protagonisti in primo piano della propria comunicazione. Ci mettono la faccia, in tutti i sensi. Ed è proprio questo aspetto umano e intimo che diventa il pregio fondamentale della collaborazione con un influencer.
Questa figura si differenzia, inoltre, da quella del testimonial poiché quest’ultimo si affianca ad un brand o a un prodotto senza per forza condividerne i valori, mentre l’influencer deve essere disposto a veicolare i messaggi di marche in linea con il suo profilo, che promuovono cioè valori che condivide, in modo tale da non tradire la fiducia riposta in lui o lei da parte della sua community di riferimento conquistata e costruita nel tempo attraverso la veicolazione di messaggi e contenuti autentici, coerenti e sinceri.
Gli influencer sono il perno centrale attorno al quale ruota l’influencer marketing. L’influecer marketing è definibile come “l’insieme di quelle campagne atte a creare una relazione tra un brand, un influencer e la sua community di riferimento. [..] L’influencer, in questa dinamica, è il tramite, colui che racconta, che media e trasporta , facendosene carico, in modo autentico e professionale, l’universo valoriale del brand. [..] Il cuore dell’influencer marketiing sta nel costruire una relazione solida tale da garantire la creazione di un reciproco valore”[3]. L’inflencer marketing è, quindi, una delle strategie utilizzate per potenziare la presenza del brand sui social media con lo scopo di fari entrare in contatto e in relazione le aziende con cerchie di persone del loro target. L’’influencer, in cambio di un compenso monetario, prodotti omaggio o altre forme di retribuzione, non offre solo visibilità sui social network a prodotti o servizi in vendita, ma è uno strumento di comunicazione autentica ed umana che passa attraverso il racconto delle storie di vita e la narrazione di contenuti da parte di persone “influenti” sul mercato on line. L’influencer marketing è considerabile, quindi, come l’evoluzione digitale del referral marketing, il vecchio passaparola: nel corso degli ultimi anni, infatti, le persone tendono a fidarsi sempre meno della pubblicità tradizionale, preferendo le testimonianze e i consigli di amici, familiari o personalità ritenute esperte, influenti e imparziali. Al contrario dei classici banner pubblicitari o delle campagne di marketing tradizionali, le persone tendono a percepire le raccomandazioni degli influencer come imparziali e sincere perché si fidano dei loro consigli. Uno degli aspetti più straordinari dell’influencer marketing è il numero e la varietà incredibile di persone che possono essere coinvolte da una stessa azienda per portare avanti la propria strategia di comunicazione.
Gli influencer provengono da ogni Paese del mondo e coprono ogni area d’interesse e di mercato: dai personal trainer che condividono i loro allenamenti, alle fashion blogger che esibiscono il loro outfit, dai designer che mostrano il loro portfolio online, ai fotografi di viaggio, dagli chef che pubblicano le loro ricette a coloro che assaggiano i piatti di ristoranti e fast food del mondo, e tanto altro ancora. Esiste una differenza tra persone influenti e influencer, poiché il ruolo di questi ultimi non è solo associabile ai numeri, dal numero di like che ottengono o quelli dei loro follower. L’influencer, infatti, “deve distinguersi per alcuni elementi imprescindibili, quali reputazione, esperienza, competenza, passione e professionalità nel settore in cui opera. Non ci si può improvvisare”[4].
Quello dell’influencer è un lavoro a tutti gli effetti, in via di inquadramento giuslavoristico come previsto dal DDL Concorrenza del 2 agosto, con significative opportunità di reddito e di creazione di consenso.
I percorsi per iniziare sono diversi, a volte casuali, spesso imprevedibili e misteriosi, almeno tanto quanto gli algoritmi delle piattaforme che ne determinano il successo”[5].
“Ecco alcune caratteristiche che ci possono aiutare a riconoscere un vero influencer:
- ha una strategia di contenuti che si rivela in uno stile autentico e riconoscibile;
- non deve necessariamente essere un personaggio noto, ma deve aver fatto della sua passione un lavoro, comunicato in modo professionale. Può anche accadere che un influencer diventi poi una celebrity;
- ha una strategia di posizionamento sui social che presidia e sa come sfruttare al meglio i propri canali durante le collaborazioni con i brand;
- gode di una reputazione guadagnata nel tempo, diventando una voce autorevole nel settore che gli compete;
- ha forti capacità relazionali, on line e off line;
- genera empatia in ogni suo atto comunicazionale;
- spesso, ma non è una regola, si avvale di un team di professionisti che sa agire in modo tempestivo nella creazione di contenuti e nella presenza dei canali social”[6].
Se è vero da un lato, quindi, che per diventare influencer non si dovrebbe studiare perché quella di influenzare dovrebbe essere una caratteristica empatica innata, dall’altra parte ci sono delle competenze su cui è possibile lavorare come: la pazienza e tenacia per la costruzione della reputazione; uno spirito di intraprendenza e dinamicità; la capacità ed un approccio commerciale e finanziario per trattare con clienti, fornitori e collaboratori; una conoscenza approfondita ed aggiornata sui temi e le tendenze in cui si opera.
Certamente non basta una lista per riassumere tutto il lavoro necessario per diventare un influencer, ma posso tentare di riportare alcune delle questioni principali per avviare una carriera come imprenditori o imprenditrici digitali:
- “Capire attraverso la ricerca qual è lo stato dell’arte del settore in cui si opera. Chi sono i principali attori, come si comportano e che stile comunicativo hanno.
- Definire qual è il nostro target group di riferimento capendo come si comportano i nostri interlocutori, quali piattaforme social prediligono e quale tipo di contenuti apprezzano maggiormente.
- Definire gli investimenti da fare destinando un budget alle attività e alle figure professionali necessarie per la creazione di contenuti.
- Capire di che tipo di collaborazioni abbiamo bisogno. Che attività possiamo delegare e quali sono le figure professionali maggiormente adatte al nostro caso.
- Intercettare i possibili clienti e sapersi relazionare con loro in ogni tipo di situazione. Capire come proporsi, come intercettare il loro interesse, capire se possiamo fornire servizi in esclusiva, se accettiamo la possibilità di collaborazioni win-win, se vogliamo avere come clienti molte piccole realtà o se preferiamo invece avere pochi clienti top brand.
- Essere consapevoli di se stessi e del proprio business, avendo chiari quali sono i propri punti di forza e quali quelli di debolezza, sapere qual è il valore del posizionamento che si ha sul mercato in cui si vuole operare, quanto si è disposti a condividere della propria sfera privata sui social media e con che attitudine intendiamo approcciare i commenti positivi e quelli negativi”[7].
Il mondo dei creatori di contenuti digitali è un motore ad alto impatto sociale, economico e, non da ultimo, politico, in cui coesistono il nano tiktoker, vicino di casa, e l’ubiqua celebrity Chiara Ferragni.
“Continua ad essere un fenomeno “giovane” quello dei creator (oltre il 60% è under 30). Un trend spiegabile con la maggior consapevolezza di utilizzo dei media digitali, accentuati in questo anno dalle esplosioni di canali nuovi e fortemente orientati ai più giovani come TikTok e Twitch.
Resta comunque una forte presenza anche del cluster 30-40, figli della prima digitalizzazione”[8].
Per capire meglio chi sono e qual è il valore degli influencer, è possibile suddividerli in cinque macrocategorie: nano; micro; mid; macro; mega o celebrità. Vediamole nel dettaglio per ciascuna categoria, insieme al tasso di engagement influencer medio, ovvero il rapporto tra il numero di interazioni e quello degli utenti che hanno visualizzato un contenuto:
- Nano-influencer: i nano-influencer hanno tra i 1.000 e i 5.000 follower. Sono persone comuni che hanno saputo costruirsi un discreto seguito di utenti leali e fortemente coinvolti. Fare l’influencer non è il loro lavoro principale. Secondo Hype Auditor, hanno un tasso di engagement medio del 5%, superiore a ogni altra categoria.
- Micro-influencer: i micro-influencer hanno tra i 5.000 e i 20.000 follower. Interagiscono attivamente con i loro seguaci e sono ritenuti esperti affidabili e imparziali della nicchia di mercato in cui operano. Hanno un tasso di engagement medio del 1,7%.
- Mid-influencer: i mid-influencer hanno tra i 20.000 e i 100.000 follower. Il loro pubblico, pur essendo vasto, è fidelizzato e ben definito in termini di gusti e interessi. Hanno un tasso di engagement medio del 1,4%.
- Macro-influencer: i macro-influencer hanno tra i 100.000 e 1 milione di follower. Sono persone affermate che collaborano attivamente con brand che cercano influencer per la promozione di prodotti. Hanno un tasso di engagement medio del 1,3%.
- Mega-influencer e/o celebrità: in questa categoria rientrano tutti gli influencer che hanno oltre 1 milione di follower. Si tratta di personaggi famosi e celebrità, generalmente arruolabili da brand e aziende con un budget importante da dedicare all’influencer marketing.
Ecco un grafico che riassume i tassi di engagement influencer suddivisi per categoria[9]:
[1] https://www.ninjacademy.it/web-marketing-cose-a-cosa-serve-e-come-diventare-un-esperto/
[2] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[3] Ibidem
[4] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[5] https://www.varesenews.it/2022/09/dai-balletti-gli-stiker-ai-giovani-imprenditori-del-porno-creatori-contenuti-digitali-influencer-guadagnano-sempre-piu/1494703/
[6] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[7] Ibidem
[8] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Influencer Marketing Report 2020
[9] https://www.shopify.com/it/blog/influencer-marketing-instagram-guida
“Un mercato ormai di professionisti quello dei creator e che necessità assolutamente di budget per le attività. Crescono dal 16,5% del 2019 al 34,3% odierno gli influencer che richiedono una retribuzione per la propria attività”[1].
La spesa globale per le campagne e le azioni di influencer marketing è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni. “Secondo uno studio di Marketing Hub, il numero di aziende che sfrutta l’influencer marketing è cresciuto del 26% nel 2021. Inoltre, secondo report di quest’anno, l’industria dell’influencer marketing è destinata a crescere fino a 16,4 miliardi di dollari nel 2022”[2]. Lo stesso report dimostra che “le piattaforme focalizzate sull’influencer marketing hanno raccolto più di 800 milioni di dollari di finanziamenti solo nel 2021”[3]. Tutto questo a dimostrazione del fatto che “l’influencer marketing continuerà a crescere, diventando uno dei principali strumenti di marketing per i prossimi anni a venire. Ecco alcuni dei vantaggi dell’influencer marketing”[4].
La portata del fenomeno degli influencer nel nostro Paese ha fatto in modo che si creasse, l’Onim (Osservatorio Nazionale sull’Influencer Marketing)[5]. L’idea è nata da un’intuizione di Matteo Pogliani e consiste un’associazione senza fini di lucro, aperto a tutti gli stakeholder che operano nel settore dell’Influencer Marketing che con le sue attività si prefigge di informare ed educare sul tema, rendendo migliore l’approccio e l’utilizzo dell’Influencer Marketing per tutti gli attori coinvolti (influencer, agenzie, brand, software house, marketplace).
L’importanza del tema degli influencer non è legata al solo impatto quantitativo in termini economici, bensì al loro ruolo sulla vita delle persone. I social, infatti, sono ormai parte integrante delle nostre vite, ed attraversando diversi ambiti: dalla musica al cinema, passando per serie TV, moda, bellezza, cibo, informazione, arte, etc.
La piattaforma Social Media List certifica l’esistenza di oltre 250 social network nel mondo[6]. La rappresentazione geografica che riportiamo, realizzata da Vincenzo Cosenza grazie ai dati provenienti dalla ricerca di Alexa e SimilarWeb, ricostruisce la panoramica di utilizzo dei social nel mondo.
[1] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Influencer Marketing Report 2020
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] https://www.onim.it/
[6] https://socialmedialist.org/
“L’infografica ci mostra il primeggiare incontrastato di Facebook, presente in 153 Paesi dei 169 totali presi in esame, raggiungendo un livello di presenza globale pari al 92%. I social di casa Zuckerberg, sia Facebook che Instagram, sono vietati in Cina, [..] motivo per cui QZone è così utilizzato in quest’area”[1]
I social network di influencer marketing più popolari sono: Instagram; YouTube; TikTok; Facebook; Blog o siti web; Twitter; Twitch; Snapchat. Occorre avere ben chiaro su quale, o quali, social media puntare[2]. Ogni piattaforma social, infatti, ha le proprie dinamiche di funzionamento tecnico e di approccio cognitivo da parte degli utenti molto diverse. Conoscere i social media significa anche selezionare il mezzo che ottempera appieno alla strategia dei contenuti che vogliamo implementare.
“Instagram, anche nel 2021, si conferma il principale canale per attività con creator e influencer, staccando le altre piattaforme in modo netto. Mantiene un utilizzo ampio anche Facebook, nonostante la minor attività e centralità degli influencer. Sale ampiamente come preventivabile TikTok, piattaforma capace di valorizzare l’attività dei creator e, quindi, le collaborazioni con i brand. Numeri minori ma comunque importanti per YouTube e Twitch, canali estremamente idonei e performanti lato IM, ma più complessi da utilizzare sia dal punto di vista progettuale che, soprattutto, da quello del budget”[3].
Quali saranno le direzioni che prenderanno la content creation e l’influencer marketing?
Il primis, possiamo dire che nel futuro ciò che vivremo maggiormente sarà il metaverso. Alcuni influencer sono già traghettati in questo nuovo mondo: “Tra i 10 creators italiani ci sono Fjona Cakalli, ideatrice di Games Princess, il primo sito italiano dedicato ai videogiochi gestito esclusivamente da ragazze; Aya Mohamed e Sumaia Saiboub, provenienti dal mondo della moda, che raccontano la loro visione con un forte senso di identità culturale; Eugenia Longo, che esprime la propria creatività nel segno della self-acceptance. Ci sono anche le food creator Cibosupersonico, esperienze culinarie a base di piatti sani; Chiara’s Cakery, che ha fatto della pasticceria la sua missione. Dal mondo lifestyle, c’è Macy Fancy, uno sguardo sulla black beauty. E, ancora, la campionessa di nuoto paralimpica Arianna Talamona e l’artista Francesco Spedicato”[4].
In secondo luogo c’è chi sostiene che saranno i dipendenti delle stesse aziende a rappresentare i nuovi “people-storytelling”, ovvero, “più personalità provenienti da settori interni con mansioni differenti [diventeraano] ambassador dell’azienda per cui lavorano”[5]. I brand, infatti, stanno cercando di abbattere sempre di più il muro che li separa dai loro interlocutori. Con questo scopo si stanno via via spogliando, sempre più, di tutte le tecniche che vengono percepite come invasive o strumentali, finendo per prediligere canali umani ed autentici. E’ in questo senso, perciò che possiamo dire che nel prossimo futuro la comunicazione aziendale diventerà un atto di fiera appartenenza, che per questo motivo andrà coltivato e curato.
Per completare l’analisi del tema dell’articolo abbiamo intervistato per voi tre influencer attivi in diversi settori creativi:
Ivan Cottini, ballerino
Meriem Delacroix, pittrice
Giulia Gambini, modella
In che modo ti reputi un creativo?
Ivan Cottini: “Io mi reputo un grande creativo perché nel momento in cui mi sono ammalato e ho iniziato a perdere l’uso del mio corpo ho avuto la capacità di reinventarmi e soffermarmi sulle quelle parti buone e da lì ripartire e tornare a sognare, ma soprattutto essere protagonista e regista della mia vita, senza rimanere seduto a fare il malato, a commiserarmi ogni giorno del perché proprio a me o ad avercela con il mondo”.
Meriem Delacroix: “Sono sempre stata una creativa a modo mio, fin da piccola non mi esprimevo a parole ma a colori, e questa naturale caratteristica e diversa sensibilità è diventata nel tempo il mio lavoro, rappresentando il mondo che vedo io, difficile da vedere per gli altri. Sono una persona neurodivergente, nel bene e nel male, e questo desta sicuramente curiosità negli altri”.
Giulia Gambini: “Sono creativa nel modo di creare i contenuti: cerco sempre di crearne di interessanti, o che possano essere utili alla mia community, mi piace proporre un’immagine di me colorata e allegra!”.
Qual è il tuo talento? E come lo proponi sui social?
Ivan Cottini: “Io non so se sono davvero un talento. Quello che so è che la vita, perché è proprio così bella, mi ha fatto scoprire la danza, che prima non conoscevo, nel momento in cui ero sulla sedia a rotelle e, quindi, quando ero già malato e avevo già perso l‘uso di alcune parti del mio corpo. Tramite essa ho scoperto due cose importanti: la prima è che potevo prendere a calci questa malattia che vuole tanto tenermi seduto; e la seconda è che posso stare bene psicologicamente, e se tu stai bene nella testa puoi affrontare qualsiasi sfida che la vita ti mette davanti. Ora sono ormai undici anni che racconto sui social questa mia seconda vita da malato e ballerino. Lo faccio per motivare e per essere uno stimolo per tante persone che vivono la disabilità o il proprio stato di malattia rimanendo seduti ad osservare il mondo che gli passa davanti”.
Meriem Delacroix: “Sono una pittrice affetta da una condizione neurologica che si chiama “sinestesia” e che influenza il mio modo di percepire il mondo: i miei sensi sono “fusi” tra loro, significa che quando sento un suono, vedo un colore, oppure quando sento un profumo, ne riesco a toccare la consistenza. Ciò che faccio è di imprimere le sensazioni visive su tela, come il colore della musica o il colore dei sapori.
I social sono importantissimi poiché facendo arte visuale, sono il canale migliore per poter unire l’arte visiva alla sua descrizione. In contemporanea li uso anche per diffondere un po’ di consapevolezza sulle differenze delle altre persone e di empatia in generale”.
Giulia Gambini: “Ho il talento di trasmettere messaggi di positività grazie al mio vissuto e al mio sorriso, con il quale cerco di promuovere la consapevolezza riguardante la nevralgia trigeminale, patologia neurologica di cui si parla ancora troppo poco”.
Cosa significa per te essere un influencer?
Ivan Cottini: “E’ molto stimolante perché, da una parte, mi dà tante responsabilità, ma dall’altra mi dà anche tante soddisfazioni. Sono, infatti, tantissime le persone che ad oggi mi seguono e che mi hanno emulato, tornando a sorridere e, soprattutto, a non vivere più da malati anche se hanno una disabilità o una malattia. Tramite me hanno visto, infatti, che tutto si può e che non è come lo fai l’importante, ma cosa ti dona e ti lascia dentro quello che fai”.
Meriem Delacroix: “Divulgare, informare e fare un po’ sognare attraverso l’arte. È incredibile il calore che si riceve da persone totalmente estranee, quando si ha una connessione su un certo argomento. È anche importante soppesare quello che si dice e come lo si dice, da una parte si rischia di essere mal interpretati, dall’altra si rischia di ricevere qualche critica. È un lavoro come un altro con le proprie caratteristiche”.
Giulia Gambini: “Se sono un influencer posso solo dire grazie alla mia community che mi vuole bene, il loro affetto arriva dritto al cuore! Per me essere influencer vuol dire trasmettere messaggi positivi di amore e cura verso se stessi e il proprio corpo!”
Quali sono gli aspetti positivi di essere un influencer e quali, invece, quelli negativi?
Ivan Cottini: “L’essere un influencer ti espone a tutto, sia a cose positive che negative.
Io il più delle volte mi soffermo sulle persone che mi criticano o insultano, perché alla fine sono un comunicatore e forse alcune volte sbaglio come mi pongo o come mi mostro sui social. Trovo molto interessante un confronto civile, anche se il più delle volte sono insulti di persone che vedono ciò che faccio solo come strumento per mettere in mostra la malattia e farci i soldi, lucrarci insomma, piuttosto che vedere il senso positivo che lascio alle persone che mi vedono”.
Meriem Delacroix: “Gli aspetti positivi sono l’amore e il supporto virtuale che si riceve ogni giorno da migliaia di persone, la possibilità di comunicare ad un vasto pubblico e il lavoro che spesso può avvenire ovunque: a casa, durante il viaggio e anche in vacanza. È bello poter creare costantemente contenuti e chiedere direttamente e in tempo reale il parere delle persone.
Quelli negativi per me sono davvero pochi e li riscontro più che altro relativamente all’opinione di alcune persone che ti dicono che, se non ti spacchi la schiena in miniera tutto il giorno, allora il tuo non è un vero lavoro. A queste persone dico che i lavori sono innumerevoli, dalla miniera all’ufficio, dal ricevimento in hotel al manovrare una nave o cantare su un palco, e nessuno è migliore di un altro finché ci saranno utenti e pubblico che ne usufruiscono. Sono solo visioni diverse e forse un po’ estremizzate da un pensiero che non comprendo.
Giulia Gambini: “Aspetti positivi: non mi sento mai sola, c’è sempre chi mi appoggia e anche condividere gli aspetti più veri della vita come le lacrime o i momenti no, aiuta a non sentirsi soli!
Aspetti negativi: con i followers aumentano anche gli haters, bisogna farsi scivolare la negatività addosso!”.
Come hai fatto a diventare un influencer?
Ivan Cottini: “Tutto è nato per caso. Io undici anni fa’ mi sono affacciato sui social non vergognandomi i quello che stavo affrontando, che era la malattia che mutava il mio corpo. Ho cominciato a raccontare come Ivan, giorno dopo giorno, affronta la malattia e la sorte di questa vita. E, giorno dopo giorno ,tante persone si sono appassionate alla mia storia e hanno cominciato a seguirmi sui social. Ma non solo persone che hanno una disabilità o una malattia. Penso, infatti, che il novanta per cento delle persone che mi seguono sono persone che stanno bene, ma che vedono in me una fonte positiva che ogni giorno, attraverso quello che pubblico, dona loro emozioni e positività per affrontare le proprie giornate”.
Meriem Delacroix: “È stato totalmente casuale e non cercato. Nel tempo ho creato il mio profilo instagram in cui mettevo le tipiche foto “instagrammabili”, dopodiché ho deciso di far vedere alle persone il mio lavoro, ho quindi iniziato a pubblicare i miei quadri, le mostre e tutto il resto, da qui il pubblico si è “selezionato” in ambito artistico ed eccomi qui, una pittrice che è anche influencer”.
Giulia Gambini: “Lo sono diventata parlando di me agli altri e condividendo la mia storia, ognuno di noi ha una storia alle spalle e raccontarla spesso può aiutare anche altre persone, perché la condivisione aiuta sempre!”.
Come riesci a monetizzare in quanto influencer?
Ivan Cottini: “Una mia grossa pecca è che io non monetizzo i risultati raggiunti con Instagram. Anzi, ci dedico anche pochissimo tempo, giusto venti minuti o un quarto d’ora al giorno in cui pubblico una o due storie dove racconto brevemente la mia giornata e basta.
Trovo che oggi come oggi si sia perso moltissimo il vero senso dell’uso che dovevamo fare dei social. Io mi ricordo i primi tempi, undici anni fa’, quando con tante persone disabili o malati ci si confrontava o ci si chiedeva consigli e ci si univa per le battaglie sui diritti dei malati, sulle barriere architettoniche. Avendo io visibilità televisiva, mi chiedevano di portare certe tematiche in televisione. Questo undici anni fa’. Oggi, invece, si è tutti contro tutti, ed anche noi disabili non facciamo più gioco di squadra, sui social vogliamo soltanto apparire ed ognuno andare per la sua strada. Quindi, secondo me, abbiamo perso l’obiettivo al quale servivano i social”.
Meriem Delacroix: “Non pensavo che con Instagram avrei avuto un riscontro di questo tipo, all’inizio. In realtà moltissima gente usa questo canale non solo per guardare post di amici e reel divertenti, ma anche per ricercare “affari” e così via, arte compresa. Una buona parte delle persone che acquistano i miei quadri o che partecipa alle mie mostre, viene anche da instagram”.
Giulia Gambini: “Grazie alle sponsorizzazioni, anche se per me è una passione più che un lavoro e soprattutto lo faccio per trasmettere messaggi positivi più che per interessi economici”.
[1] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
[2] https://www.shopify.com/it/blog/influencer-marketing-instagram-guida
[3] ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), Brand & Marketer, Report 2021
[4] https://www.influenxer.it/gossip/aaa-cercasi-creator-per-il-metaverso/
[5] Bellini C., Carriero C. (2022), Influencer marketing. Valorizzare il brand con la content creation e le relazioni, Hoepli
“Disability is not a limit, you are the limit” la collezione di fashion design di Emilia Torcini
Chi sono…
…sono Emilia Torcini, ho 25 anni e sono laureata in fashion designer, sono nata da un parto trigemellare. Essendo prematura, ho subito dei danni all’emisfero cerebrale destro, che mi impediscono di camminare con disinvoltura.
Sin da piccola, mi sono sentita diversa rispetto ai miei coetanei, perché le persone guardavano la mia disabilità e non la mia persona: si allontanavano, mi deridevano.
Isolata, la moda è stata per me un’ancora di salvezza, perché mi ha permesso di elaborare un linguaggio solamente visivo, in cui sono le creazioni e non il creatore le protagoniste.
La collezione “Disability is not a limit, you are the limit” vincitrice “Vogue Talent award durante la Milano Moda graduate indetto dalla Camera nazionale della moda italiana
La collezione si ispira agli anni ’40 quando – pur nascendo le prime associazioni su diritti civili e di sensibilizzazione – la disabilità non era accettata. Chi ne veniva colpito, senza colpa, veniva nascosto. Anche il Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, affetto da poliomielite era terrorizzato dal fatto che le persone giudicassero la sua disabilità piuttosto che le sue capacità di leader e si rifiutava di mostrarsi in fotografie e filmati. Oggi non è molto diverso.
Ho lavorato sulla giacca sartoriale inglese, perfetta e modellata sul corpo, simbolo di un establishment convenzionale e tradizionalista, accostandola all’idea che per i disabili, l’abbigliamento deve essere “comfort e utility”. Ho così rivisitato l’abbigliamento classico inglese, con i suoi pied-de-poule, i panni e le lane cotte, sui quali ho inserito asole in contrasto di colore verde, simbolo della Giornata della Paralisi Cerebrale Infantile.
Ho rifinito gli interni con nastri parlati che denunciano le contraddizioni di un mondo apparentemente perfetto; grazie ai tessuti di fibre naturali ed ipoallergeniche ho disegnato linee sono semplici e morbide, e i busti ortopedici di scarto, simbolo di costrizione e di stigma, sono stati dipinti con le caricature di Roosevelt e di Jean Paul Sartre. Il grande filosofo francese ha, infatti, denunciato le contraddizioni del nostro tempo, vissuto da persone incapaci di comprendersi a vicenda.
Questa è una collezione a suo modo catartica. Da un lato, ha permesso di rappresentare il mio vissuto doloroso, sublimato in capi senza tempo dal forte impianto artigianale;dall’altra, consente a persone come me di avere una propria voce.
È una collezione che vuole denunciare questa società non inclusivi
Progetti futuri:
Restare nella moda è fondamentale per me, entrare in un azienda ancor di più perché sono una persona molto curiosa e voglio imparare il più possibile.
L’importante è di crederci sempre! Vedremo cosa mi riserverà il futuro! Perché può accadere di tutto.
Continuare battermi per inclusione, attraverso interviste ecc… perché con la mia storia posso dare forza e speranza alle persone come me! Di crederci e lottare per i propri sogni perché il diverso è bello!
Emilia Torcini